SANGIOVESE – 22 febbraio 2012

Il quarto appuntamento coi vitigni nobili è stato dedicato a uno dei fiori all’occhiello della viticoltura italiana, quel sangiovese che non solo è il vitigno a bacca rossa più diffuso del nostro Paese, ma è anche quello che dà vita ad alcuni dei più grandi vini italiani.

Di probabile origine toscana e re incontrastato del Centro Italia, il sangue di Giove ha svariati cloni che di fatto sono riconducibili ad esso, ma che hanno assunto nomi diversi a seconda delle zone: ecco che allora il sangiovese diventa brunello a Montalcino, prugnolo gentile a Montepulciano, morellino in Maremma, tanto per citare i più noti, mantenendo però le stesse caratteristiche: pigmentazione spesso tenue e quindi colore rosso non troppo carico, tanta acidità e ricchezza di tannino che lo rendono magari ostico in gioventù, ma sono caratteristiche indispensabili per consentire a un vino di continuare a evolvere dopo lunghi anni di affinamento.

Certo, non possiamo dimenticare che il sangiovese per la sua vigoria e per l’abbondanza di raccolti, è anche uno dei vitigni più impiegati per la produzione di vini mediocri, di quelli che magari trovate nei cartoni al supermercato, ma quando invece coltivato in zone particolarmente felici e con selettivi criteri di ricerca della qualità a scapito della quantità, ecco che allora contende al nebbiolo il titolo di vitigno più importante del Paese. Una grande differenza però è che mentre quest’ultimo viene vinificato quasi sempre in purezza, è assai probabile invece che il sangiovese finisca in compagnia di altre uve che ne ammorbidiscono un po’ le asperità caratteriali: canaiolo e colorino, ma anche cabernet, merlot, syrah: il più noto di questi assemblaggi è il Chianti, ma sono davvero tanti i grandi vini che hanno il sangiovese come componente principale, ma non unico.

Un altro elemento che ne determina le caratteristiche è la maniera di impiego del legno nel processo di maturazione: solo botti grandi per quei produttori che cercano di intervenire in maniera meno marcata, invecchiamento in barrique per quelli che invece vogliono dare una impronta diversa al vino prodotto.

Da un punto di vista territoriale è il centro Italia il suo regno: a cominciare dalla Romagna – dove oltre il 70% dei vigneti impiantati è sangiovese – che sta cercando di sdoganarsi dall’immagine del sangiovese vinello di taverna per accompagnare la Mazurka di Raoul Casadei. Il Sangiovese Superiore di Romagna sta raggiungendo grandi traguardi con molti vini eccellenti, complessi e longevi, lo stesso può dirsi in Umbria e nelle Marche, in particolare nelle denominazioni Torgiano Riserva , Rosso Conero e Rosso Piceno.

Ma è naturalmente la Toscana la patria del sangiovese: in primis il Chianti Classico (in etichetta riconoscibile per il gallo nero), un ristretto territorio a cavallo fra le province di Firenze e Siena dove si producono i più grandi sangiovese del nostro Paese, ma poi anche altre docg come Carmignano, Nobile di Montepulciano, Morellino di Scansano e naturalmente il Re Brunello di Montalcino, la enclave senese dove il sangiovese ha raggiunto la fama mondiale entrando nella ristretta cerchia dei vini top.

Qui pochi anni fa è esploso lo scandalo di Brunellopoli; a beneficio di coloro non così addentro la questione, voglio ricordare che la faccenda vide coinvolti alcuni dei principali produttori, che avevano violato il disciplinare di produzione: il brunello non prevede assemblaggi, ma dovrebbe essere prodotto solo con uva sangiovese. Per andare incontro a un mercato – in particolare quello estero – che preferisce vini più morbidi e pronti all’uso, alcuni hanno pensato di aggiungere piccole percentuali di merlot e cabernet; né più né meno di ciò che avviene in buona parte della Toscana: peccato che a Montalcino non sia consentito e da qui lo scandalo che ne ha gravemente danneggiato l’immagine.

La diatriba rimane comunque aperta visto che molti produttori a questo punto spingono per cambiare le regole e far sì che gli assemblaggi possano avvenire alla luce del sole, quindi non vi so dire fino a quando i tradizionalisti riusciranno a vincere la loro battaglia.

La nostra serata comunque era dedicata al sangiovese in purezza e a ciò ci siamo scrupolosamente attenuti nella selezione degli otto viniproposti alla attenta platea, che rappresentano sicuramente un prezioso suggerimento anche per i nostri lettori in cerca di suggerimenti.

I vini come sempre sono stati degustati alla cieca così che non ci fossero condizionamenti di sorta.

Si comincia quindi con un sangiovese dotato di un bel colore rubino nemmeno così trasparente come ci si potrebbe attendere, che al naso sprigiona sentori speziati, chiodi di garofano, anche liquirizia e che ben si fondono con note di frutti rossi come la mora. Anche all’assaggio si conferma elegante ed equilibrato, con una piacevole morbidezza a fare da contraltare a una acidità persino più spiccata del tannino. Siamo in Romagna e abbiamo quindi avuto immediato riscontro di come anche sulle colline forlivesi il sangiovese possa raggiungere l’eccellenza, altro che Tavernello!

Il vino in questione è il Pruno annata 2008, un Sangiovese Superiore Riserva prodotto di punta della Tenuta La Palazza della famiglia Drei Donà. Il Pruno deve il suo nome a uno dei cavalli di casa, campione di razza Maremmana che si cimenta nel dressage. E in effetti questo vino di tale disciplina ne incarna l’eleganza, grazie alla selezione delle migliori uve dell’azienda, a una attenta vinificazione in vasche d’acciaio e a un affinamento di 15-18 mesi in barriques di legno.

Sicuramente una delle aziende di riferimento in Romagna.

La seconda bottiglia sbalordisce! Aldilà del colore che si presenta granato con sfumature persino aranciate, è al naso che la platea ne esalta la finezza e la complessità, riconoscendo sentori erbacei, minerali, speziati, per finire con la ciliegia sotto spirito. Un sorso accattivante, la sensazione è quella di un tutt’uno fra durezze e morbidezze, che lo rendono di una piacevolezza unica. Per la platea è il vino della serata e una volta tanto va anche in testa sulla mia personale scheda.

Brunello di Montalcino, annata 2007, produttore Riccardo Talenti. Siamo a sud di Montalcino, nei pressi del borgo medioevale di S. Angelo in Colle; qui nel 1980 Pierluigi Talenti riuscì ad acquistare i terreni che tanto lo avevano affascinato fin dagli anni ’50 quando dalla Romagna si trasferì sulle colline montalcinesi dove divenne uno degli uomini che fecero la fortuna del Brunello lavorando in svariate aziende della zona. Da una decina d’anni alla guida dell’azienda c’è il nipote Riccardo che ha saputo mantenere la linea di qualità sui 20 ettari di proprietà dove peraltro viene prodotto un vino ancora più eccellente di quello da noi degustato, il Brunello Pian di Conte Riserva, al punto che ci siamo chiesti cosa sarà mai visto che a noi ha già lasciato sbalorditi il Brunello base, che fermenta in tini di acciaio e viene invece messo a maturare per 30 mesi per il 60% in tonneau di rovere da 500 litri (quindi più grandi della barrique) e per il restante 40% addirittura in grandi botti di rovere di Slavonia.

Un vino assolutamente in piena forma dopo soli 5 anni, a dispetto dell’idea generale che ce ne vadano almeno una decina prima che un Brunello possa iniziare a essere apprezzato.

Un vino che noi tutti abbiamo giudicato fine ed elegante a dispetto di chi invece considera i Brunelli della zona di S.Angelo in Colle come potenti e strutturati.

Terza bottiglia, un rosso rubino tendente al granato che esprime una bella luce. Al naso non colpisce per intensità, esprimendo invece una ampiezza fatta di spezie, di note balsamiche e di tanta frutta matura, ciliegia ma anche prugna. E’ all’assaggio però che viene fuori il Dna da purosangue di razza, che gli garantirà lunga vita e che paradossalmente lo penalizza nella degustazione: il Cepparello 2008, uno dei più grandi rossi toscani, dimostra possenza espressa da un’acidità e da un tannino che lo rendono ancora poco equilibrato e estremamente giovane malgrado i cinque anni. Uno di quei vini che quando li apri così presto ti resta il rammarico di pensare a cosa sarebbero stati fra dieci anni. Lo produce Isole e Olena, azienda fondata a metà anni ’50 a Barberino Val d’Elsa dalla famiglia piemontese De Marchi: chissà se sono state le origini di viticoltori a Lessona sulle colline biellesi dove ovviamente si produce nebbiolo in purezza che hanno portato Paolo De Marchi a cercare nel sangiovese la qualità assoluta senza cadere nel facile compromesso di contaminarlo con altri vitigni, fatto sta che pur trovandoci nel cuore del Chianti Classico, il Cepparello è sangiovese al 100% e per tale motivo non rientra quindi nella denominazione.

La sua maturazione avviene tramite 18 mesi trascorsi in barriques di rovere francese, di cui un terzo nuovo.

Si ritorna in Romagna con la quarta bottiglia in degustazione, un Sangiovese che mostra i muscoli a dispetto dell’eleganza: viola, frutta matura, prugna cotta, caramello, vaniglia. Al gusto ritroviamo la corrispondenza con quanto espresso dall’analisi olfattiva: il Domus Caia Riserva 2008 si presenta già ben bilanciato, con un tannino piuttosto vellutato. Anche questa bottiglia, prodotta dalla famiglia Ferrucci a Castel Bolognese, rientra fra quelle che potrebbero definirsi ambasciatrici di Romagna.

Le uve, raccolte a perfetta maturazione, vengono fatte appassire in maniera naturale prima di procedere alla vinificazione. La perdita di liquido e la conseguente concentrazione di zuccheri e altre sostanze garantiscono durante la fermentazione uno sviluppo d’alcol veramente notevole: oltre 14%. Aggiungiamoci anche una macerazione sulle vinacce fino al termine della fermentazione e un affinamento di dodici mesi in tonneau da 500 litri, di cui 1/3 nuovi ed ecco perché questo vino di struttura e potenza ne ha davvero da vendere.

Ma la serata non ammette pause: dalla Romagna eccoci di nuovo in Toscana, questa volta però a sud, nel Grossetano, in piena Maremma. E qui abbiamo voluto mettere alla prova i nostri attenti degustatori perché la bottiglia numero cinque e quella numero sei erano lo stesso vino… ma di due annate diverse!

Bravi ragazzi crescono: seppur timidamente sono stati in diversi ad abbozzare timidamente un “sembra quasi lo stesso vino della bottiglia di prima”.

In ogni caso qualcosa di completamente diverso da tutto ciò che si era degustato in precedenza: se sopra ci eravamo concessi i paragoni col dressage o col purosangue di razza, per rimanere nello stesso ambito diciamo che il Morellino di Scansano Le Valentane Riserva sia nella versione 2006, sia in quella 2005, si mostra come un cavallo selvatico che nessun buttero maremmano riesce a domare. Un naso persino aggressivo, speziato, minerale e vegetale dove pepe nero, cuoio, humus e un non so che di selvatico, la fanno da padrone, dando la sensazione persino di “ridotto”. Probabilmente avessimo avuto tempo per lasciarlo ossigenare a contatto con l’aria, quest’ultima sensazione si sarebbe attenuata. Anche al gusto il carattere è quello di un sangiovese “meridionale”: tannino irruento e acidità vivace ci danno una bocca energica, rafforzata anche dai 14,5% gradi di alcol. Una muscolosità strutturale che col tempo lascerà spazio probabilmente a una maggiore eleganza ed equilibrio: già la versione 2005 è sembrata avere in effetti una maggiore finezza complessiva rispetto all’annata più giovane.

Villa Patrizia, così si chiama l’azienda che Romeo Bruni ha creato fra i primi da  queste parti nel 1968 abbandonando la sua vecchia professione di falegname, nella nostra degustazione l’abbiamo voluta proporre proprio perché il sangiovese non è solo quello dei blasonati territori del Chiantishire e di Montalcino dove i terreni valgono oro, ma è anche quello di uomini che hanno vinto scommesse difficili. Facile ora investire in Maremma, una delle nuove zone di sviluppo: provate a chiedere a Romeo le difficoltà dell’inizio anni ’70, quando veniva visto come un pazzo a coltivare la vite in un territorio vocato alla pastorizia, ma poi anche le soddisfazioni di quando – in una terra dove “il vino bono era quello sfuso” – ha fatto il salto di qualità imbottigliando il suo vino intorno alla metà degli anni ’80, talmente apprezzato che andava a consegnarlo ovunque col suo inseparabile Ford Transit.

Le Valentane proviene da vigneti coltivati secondo i principi dell’agricoltura biologica e soprattutto è vinificato con una fermentazione spontanea che avviene attraverso i lieviti indigeni delle proprie uve, possibile altra causa di quei sentori inusuali e non così apprezzati dalla platea; la maturazione invece è di 24 mesi in piccole botti di rovere nuove.

Ma siccome il sangiovese non è solo Romagna o Toscana, eccoci fare una veloce puntata anche in Umbria per la settima bottiglia in assaggio.

Il colore leggermente più spento ci fa pensare subito ad un invecchiamento maggiore rispetto ai vini precedenti. Anche al naso i sentori sembrano darne conferma: tostatura, caffè, humus, pepe, cacao, qualcuno aggiunge anche il “bruciato”, tutti sentori che non sembrano appartenere a vini giovani. Una certa evoluzione viene confermata anche al gusto dove il tannino appare levigato e ben inserito in un contesto complessivo di equilibrio che sembra voler confermare le sensazioni precedenti. E così è perché la Selezione del Fondatore in assaggio era del 2004. A produrlo è l’azienda Castello delle Regine ad Amelia (Tr) e anche questo sangiovese, che dopo una maturazione in barrique di un anno affina in bottiglia per 36 mesi, è oramai entrato di diritto fra i grandi vini prodotti da questo vitigno.

Chiudiamo la indimenticabile maratona sul sangiovese naturalmente in Toscana.

Ultimo bicchiere, colore rosso granato, si presenta fine ed elegante al naso con sentori di ciliegia sotto spirito, violetta, ma anche erbacei e minerali, oltre a quelli cosiddetti terziari derivati dai 22 mesi di maturazione in barrique. Al gusto la classe non è acqua: una piacevole acidità, un tannino vellutato, ma tanto equilibrio e una eleganza che lo rendono per la maggioranza dei presenti il migliore vino della serata: è solo per un’inezia che nella somma complessiva dei punti non supera Talenti.

E d’altronde il Percarlo 2007 prodotto dalla Fattoria San Giusto a Rentennano, è oramai abituato a riscuotere successo. Qui siamo proprio nel cuore del territorio più tradizionale del sangiovese, fra i comuni di Gaiole in Chianti e Castelnuovo Berardenga: più Chianti di così … e il Percarlo – che rientra di diritto nel ristretto gruppo dei grandi vini toscani – è uno dei più evidenti esempi di cosa si intende dicendo Sangiovese in purezza.

Massimo

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