Sapori di Mare

Da Sapori Divini a Sapore di Mare: no, non è una canzone, ma è il tema che Viva il Vino ha scelto per chiudere il cerchio con le Isole di Emozione proposte pochi giorni prima nella rassegna in piazza del Duomo a Pinerolo e che avevano il mare delle due isole maggiori al centro dell’attenzione.

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Un tema che in realtà potrebbe essere replicato in molte serate, perché sono davvero molte le chicche enologiche che possiamo trovare percorrendo le nostre coste e visitando le tante isole che costellano il Mediterraneo.

1609950_915269501823969_8133202993567720855_nIn alcuni casi le viti lambiscono la spiaggia, in altri sono aggrappate su pareti di roccia a picco sul mare; in certe zone il terreno è decisamente pianeggiante, in altre troviamo promontori e paesaggi suggestivi, da cartolina. In talune situazioni la viticoltura diventa eroica vista la difficoltà di strappare all’acqua qualche fazzoletto di terra a cui si aggiunge la fatica del lavoro in vigna, tutto manuale vista l’impossibilità di meccanizzare qualunque attività. Vigne di mare, che assorbono il salmastro trasportato dalle brezze e depositato nel terreno facendolo diventare vibrante sapidità, vigne che godono di inverni miti e di estati calde e asciutte con benefiche escursioni termiche tra il giorno e la notte.

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Con la proiezione di una sequenza di meravigliose immagini che ci mostrano le diverse facce dei vigneti lungo le nostre coste, il viaggio ha inizio. Si parte con due vini bianchi serviti in contemporanea: alla vista sono molto simili, giusto una sfumatura di paglierino un po’ più chiaro nel primo, a suggerire una localizzazione più a nord o una minore complessità evolutiva. Intensità olfattiva più forte nel primo, mentre al gusto è il secondo a mostrare più complessità e una maggiore acidità. La sapidità è evidente in entrambi, ma abbiamo già capito che questa sarà la costante che lega tutti gli assaggi della serata. Intanto che i minuti passano i due vini si aprono e sprigionano al naso nuovi sentori. La platea cerca di attribuire un’area geografica al primo vino, ma è solo quando sui monitor appare l’immagine della monorotaia a cremagliera che non ci sono più dubbi, siamo alle Cinque Terre.

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“L’azienda Possa nasce dal legame fra il sogno condiviso di far rivivere una valle e il progetto di costruire un’azienda agricola”. Lo dice il giovane Samuele Bonanini, Heydi, che a Riomaggiore ha fatto tesoro degli insegnamenti dei vecchi vignaioli del posto recuperando vitigni dimenticati, ricostruendo muretti sfaldati dall’acqua sotterranea e alzando filari fino al limite del mare, circondandoli di piante aromatiche e colture tipiche. Piena di poesia ed emozione la sua storia di vita: poteva essere uno dei tanti a cercare lavoro altrove, è rimasto nelle Cinque Terre a fare il vignaiolo, custode di un patrimonio unico. Un’eccellente espressione di questo angolo di Liguria il nostro primo vino a base di Bosco, Albarola e Vermentino, gli stessi vitigni autoctoni da cui nasce anche il raro e famoso Sciacchetrà. Uve selezionate da alcuni dei vigneti più belli, annata 2012, quattordici gradi alcolici. Qualche giorno di macerazione sulle bucce per conservare l’impronta del terreno poi brevissima maturazione in barrique per un 20% della massa, assemblaggio e successivo affinamento. Ci spieghiamo adesso quella particolare nota che sentivamo al naso, è la memoria del legno, che – come dice Samuele – è la particolarità tipica dei vini dei vecchi contadini che usavano solo botti. Una piccola realtà da 8.000 bottiglie all’anno, ma un grande nome da tenere a mente nel contesto delle Cinque Terre.

A questo punto diventa facile per la platea affermare che il secondo vino si colloca più a sud. Con il trascorrere dei minuti il vino nel bicchiere è ancora cambiato, emergono sentori classici da bianco fresco, note agrumate e floreali più intense che in precedenza. Chi dice Ischia con la Biancolella, chi Procida e qualcuno Elba. Invece siamo all’isola del Giglio dove Giovanni e Simone Rossi – poco più che trentenni -decidono anche loro come Samuele Bonanini di non emulare i tanti coetanei che vanno altrove in cerca di un futuro lavorativo, ma di seguire la passione per la vigna e l’attaccamento alla loro terra fondando l’azienda agricola Fontuccia. Piccola realtà che al momento produce solo 5.000 bottiglie all’anno, due ettari di vigneto con forti pendenze fino al mare, dove il lavoro è totalmente manuale salvo l’aiuto di un decespugliatore. Il vino in assaggio è il Senti Oh!, nome che deriva dall’espressione tipica gigliese per indicare meraviglia e ironia insieme, il vitigno è l’ansonica che però da queste parti viene rigorosamente chiamata “ansonaca”, nuovamente quattordici gradi alcolici, annata 2013. Una vera chicca questo bianco che matura in acciaio dopo una macerazione sulle bucce di due o tre giorni ed è praticamente introvabile fuori dall’isola. Molto apprezzato anche l’abbinamento a questa prima batteria di assaggi, trancio di salmone affumicato e tartine di patè di tonno.

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E’ il turno dei due vini rossi, il primo ha sentori che vanno al di là dei classici fruttati, escono i terziari, in particolare la grafite. In bocca ha una bella beva, tannino vellutato e un grande equilibrio, forse lo stiamo bevendo nel suo momento migliore perché non ha alcun tipo di asperità. Il secondo si differenzia sia al naso che in bocca, dove sembra più complesso e strutturato, in comune hanno entrambi una piacevolissima beva. Se la platea sembra convinta sull’essere nel sud Italia, è invece dibattito su quale dei due provenga dalla zona più calda, dove le certezze di ognuno sembrano dover essere messe subito in discussione.

10305510_915270335157219_4213579609221806338_nE in effetti sarà proprio così, perché tolta la stagnola dalla bottiglia scopriamo che con il primo dei vini rossi siamo decisamente più a Sud di quanto si pensasse e più precisamente a Manduria, nel Salento, in quella Puglia che oramai non stupisce più per la qualità raggiunta e dove i vigneti sembrano giardini verdi nelle pianure a poche centinaia di metri dal mare. L’azienda selezionata è Antiche Terre del Salento, una tradizione contadina che risale addirittura al 1530, vini che vogliono rappresentare l’eccellenza del territorio attraverso il recupero e la valorizzazione dei vitigni autoctoni. Anche in questo caso realtà molto piccola, visto che produce in totale 18.000 bottiglie. Il vino proposto, Feudo del Conte, è un primitivo in purezza ottenuto da viti che hanno più di 80 anni (!), le uve vengono vendemmiate alle prime luci dell’alba per preservarne la freschezza degli aromi, durante l’affinamento c’è un passaggio in barriques nuove per circa sette mesi. L’annata in degustazione è la 2008, ecco spiegato anche il tannino così vellutato: un assaggio che ha entusiasmato la platea.

La sorpresa arriva quando viene svelato il secondo rosso e i partecipanti scoprono di essere nelle Marche, zona del Conero, con l’azienda Marchetti, il vino è il loro top di gamma, il Villa Bonomi riserva. Sì, perchè erano in tanti ad avere posizionato questo vino molto più a sud rispetto al primo, condizionati dalla maggior potenza e dal corpo più spesso. Vinificazione secondo le antiche tradizioni delle lunghe macerazioni sulle bucce, ma con l’ausilio di moderne tecnologie in cantina. Sedici mesi in barriques, quattordici gradi e mezzo, annata 2010: Villa Bonomi ha piacevolmente accompagnato un piattino di formaggi stagionati rappresentando egregiamente il proprio territorio di appartenenza e il vitigno di riferimento: il montepulciano.

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Ultima coppia di vini, dove ci si attarda nell’ammirare i colori dei calici: si passa dall’ambra luminoso al rubino intenso. Ovviamente sia alla vista che al naso è subito evidente che trattasi di Nettare degli Dei. Mandorla, marzapane, frutta secca e candita fra gli aromi del primo vino, in bocca una dolcezza che dura per qualche secondo poi si percepisce anche mineralità e freschezza a rendere il sorso piacevole, ma mai stucchevole. Un nettare che ti avvolge con suadenza, lasciando però la bocca pulita. Molti si sbilanciano a dire vitigno aromatico, mano a mano che le immagini scorrono sui monitor gli aiutini diventano sempre più evidenti (e anche la voglia di esserci davvero su quel traghetto da cui si ammirano paesaggi meravigliosi in avvicinamento a quel vulcano) e allora la platea è più che mai concorde nell’affermare che siamo alle Lipari. In effetti stiamo degustando la Malvasia di Salina, una chicca nelle chicche se pensiamo che è uno dei vini più antichi, che attualmente ha soltanto dodici produttori. La nostra selezione è quella di Gaetano Marchetta, prodotta da viti di oltre cinquant’anni che hanno il dna dei vecchi ceppi dell’isola. Appassimento su graticci al sole, vinificazione, poi maturazione in botti di rovere per circa sei mesi e imbottigliamento. Una piccola produzione di circa 7.000 bottiglie all’anno, quelle in assaggio sono della vendemmia 2011, tredici gradi alcolici. Perfetto l’abbinamento con i dolcetti di pasta di mandorle.

Nel secondo vino dolce troviamo sentori di ciliegia e frutta sotto spirito. In bocca la marcata acidità mitiga la dolcezza ed emergono note di spezie dolci. Considerando il tema della serata, sono in diversi a dire Argentario o Elba. In effetti siamo a Portoferraio, nel cuore dell’isola d’Elba e Acquabona è l’azienda più importante dell’isola. I vigneti da cui viene prodotto questo aleatico passito hanno una resa che non supera il chilogrammo per ceppo e dopo l’appassimento al sole la resa finale dell’uva in vino non va oltre il 25%. Non per nulla le bottiglie prodotte sono soltanto 4.000 su un totale aziendale di 90.000. Noi abbiamo degustato l’annata 2009, quattordici gradi alcolici, accompagnati da deliziosi dolcetti al cioccolato. Abbiamo percorso migliaia di chilometri lungo le coste della nostra penisola, il pulmino virtuale di Viva il Vino questa volta non è bastato e abbiamo dovuto anche salire a bordo del traghetto per poter scoprire le tante eccellenze da imprimere nella nostra memoria degustativa. Vitigni autoctoni coltivati in luoghi meravigliosi che danno origine a vini unici e affascinanti, di cui non si può che essere grati a quegli uomini di buona volontà che col loro lavoro quotidiano ne rendono ancora possibile l’esistenza.

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Vini tutti pieni di emozione e quindi appare pleonastico il gioco del voto del “vino emozione della serata”: per dovere di cronaca riferiamo che il più votato risulta essere il Feudo del Conte, un meritato successo per la Puglia che non ti aspetti. A seguire i due passiti, a conferma che i vini dolci lasciano sempre il segno.

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