L’ITALIA NEL BICCHIERE

Quando il vino diventa strumento di comunicazione.

Mauro Passet, Private Banker di San Paolo Invest e nostro appassionato socio, ha pensato a una maniera diversa per raccontare la sua attività professionale: invitare alcuni potenziali clienti a una serata di VIVA IL VINO creata ad arte.

La abbiamo intitolata “L’Italia nel bicchiere”, un viaggio durato due ore e mezza da Nord a Sud della penisola in compagnia di sei ottimi vini e delle interessanti storie che ci stanno dietro.

Dalla bollicina al vino dolce attraverso bianchi, rosè e rossi, piccoli vignaioli e grandi imprenditori, dalle regioni che ti aspetti (Piemonte e Toscana) e anche da quelle che non ti aspetti.

Raccontare in due ore l’Italia del vino attraverso la selezione sei soli bicchieri è impresa titanica, ma alla fine è venuto fuori un bello spaccato del nostro Paese enologico, caratterizzato dal consueto filo conduttore del bere bene.

A cominciare dalla bollicina che ti sorprende, perché ti verrebbe da pensare subito al Franciacorta o al Trentino.

E invece quel paesino che vedi sugli schermi, posto sulla collina intorno a quel castello con le Alpi sullo sfondo, si trova in Piemonte e precisamente nel cuore di Langa, a Neive (Cn), uno dei tre comuni dove si produce il famoso Barbaresco.

Ma non solo, perché Castello di Neive, l’azienda di Italo Stupino, ha diversificato la produzione spaziando dai rossi più classici del territorio fino all’arneis e lasciando uno spazio anche per la produzione del Metodo Classico che abbiamo nel bicchiere, una bollicina con 36 mesi di rifermentazione che nasce da uve pinot noir al 100%, affinate sei mesi in acciaio e sei mesi in barrique prima della presa di spuma.

E’ l’Alta Langa docg, bellezza! Un terroir speciale che lascia la sua impronta anche nel Pinot, nemmeno fossimo in Borgogna o Champagne.

Naso gradevole, piuttosto semplice nelle intense fragranze fruttate che ci evocano agrumi e gelsomino, molto cremoso in bocca al punto che qualcuno evoca paragoni con il Saten prima di togliere la carta stagnola dalla bottiglia. Sorpresa, siamo in Piemonte.

E d’altronde un viaggio da dove poteva cominciare se non da casa?

Emozionante anche l’abbinamento proposto: mozzarella fior di latte di Agerola (Sa) prodotta da una piccola azienda agricola, quella di Antonio Naclerio, presidio Slow Food col caciocavallo del monaco, ultimo baluardo di un mondo che non esiste più e che ci vogliono far credere che ci sia ancora.

Naclerio lo abbiamo incontrato il giorno prima della degustazione e dalla Costiera Amalfitana ci siamo caricati sul treno le sue mozzarelle appena prodotte e soprattutto tante di quelle verità scomode che ci faranno passare la voglia di mangiare altre mozzarelle che non siano le sue.

Naclerio è uno dei pochi che usa ancora il suo latte per fare la mozzarella e lo fa alzandosi da 40 anni tutte le mattine alle 4 per mungere (due volte al giorno) le 70 vacche di razza agerolese che riesce a gestire col figlio e con la moglie. Una volta erano 10.000 nel comprensorio di Agerola, ora ne sono rimaste solo 800 eppure sono decine e decine le aziende casearie che ci raccontano la favola della mozzarella agerolese.

Dimenticandosi talvolta di farci sapere che nei casi migliori il latte impiegato arriva dai paesi dell’Est, in particolare dalla Romania, viaggiando in Tir che ogni giorno fanno la spola per rifornire molti caseifici del Sud Italia. Perché nei casi migliori? Perché è anti-economico fare la mozzarella col latte: si fa ricorso a dei blocchi di cagliata, quelli che Naclerio chiama “mattoni”, che dalla Germania, dalla Polonia e dall’Est arrivano già lavorati in Italia: vengono fatti sciogliere in acqua calda, si aggiungono il sale e l’acido citrico et voilà, ecco la vostra plastichina, ops, scusate, la vostra mozzarella pronta.

Torniamo ai vini, che è meglio!

Si cambia colore, ora nel bicchiere c’è un rosato evocativo di tonalità come la buccia di cipolla, un naso intenso e fruttato, ricco di aromi freschi, delicati, come le fragoline di bosco e altri dolci sentori, mentre le immagini ci portano sulla spiaggia delle Solette e a Porto Palo. Eccoci allora a Menfi, in provincia di Agrigento, dove Marilena Barbera ha messo al mondo La Bambina, il vino dedicato alle donne, alla loro testardaggine, al loro lottare sempre per quello in cui credono senza lasciarsi spaventare dalle difficoltà. Un vino nato contro i pareri di tutti gli esperti, perché dal nero d’Avola non è il caso di farci un rosè: ma Marilena è fatta così, “se mi dite che non è cosa, allora io mi compro le uve (anche se l’azienda sarebbe la mia) e vi faccio vedere che vino meraviglioso può nascere”. Scommessa vinta, ovviamente: vendemmia notturna per preservarne gli aromi, una macerazione sulle bucce di sole cinque ore, poi inox sia in fermentazione che in affinamento. Fresco e piacevole al palato, persistente con retrogusto amarognolo, quasi sapido: il mare di Menfi nel bicchiere. Ideale per una calda serata come questa, accompagnato da canapè di salmone affumicato e da una crema di pomodori secchi, naturalmente siciliani. “Dopo averla conosciuta alla serata Il Gusto delle Donne ho rivalutato la Barbera”, così Mauro Passet, promotore della serata, descrive ai suoi ospiti Marilena, con cui Viva il Vino ha oramai un feeling speciale.

Il terzo vino sembra promettere emozioni allo stato puro: meraviglioso colore dorato, si aggrappa al bicchiere; naso dolce e aromatico, che sarà mai?

E poi perché questi dopo un rosè ci propongono un bianco?

Nel frattempo ecco un campanile stagliarsi fra vigneti, colline e nuovamente le Alpi: a questo punto per molti è un gewurztraminer stile alsaziano, ma fatto in Alto Adige.

Ancora di più dopo averlo degustato accompagnato da una mousse speziata al curry: morbido, quasi vellutato, aromatico, persistente, speziato, complesso, corposo.

Ma la diapositiva successiva riporta al dubbio: ecco lo stesso campanile, ma ora di fronte a lui si apre una pianura che corre fino all’orizzonte, paesaggio che ha ben poco di altoatesino.

E infatti siamo fra Buttrio e Premariacco, nei Colli Orientali del Friuli dove l’unicità di un terroir fatto di colline ricche di minerali, la cosiddetta ponca fatta di marna e sabbia, lasciata da quel mare che una volta arrivava fino a ridosso delle Alpi Giulie, ci regala i migliori vini bianchi in assoluto del Paese.

Ecco la sorpresa: il 10% delle uve di Tocai Friulano con cui è fatto il Plus, che nasce da un unico vigneto di 60 anni, sono lasciate appassire per dare vita a un vino definito dalla critica un Amarone Bianco. Lo producono Lidia e Joe Bastianich, già proprio loro, non solo istrionici personaggi televisivi, ma anche grandi imprenditori che dopo aver avuto successo a New York con il loro impero della ristorazione, hanno anche pensato che il legame più forte con quella terra da cui Lidia nel dopoguerra partì da profuga per cercare fortuna potesse avvenire proprio attraverso la vite.

E’ il momento dei rossi, certo la giornata caldissima non aiuta, ma quando si beve bene anche la temperatura passa in secondo piano.

Due vini serviti insieme, accompagnati da una succulenta rolata di vitello ripiena di prosciutto ed erbe aromatiche.

Sullo schermo i cipressi nella campagna fanno dire Toscana e così infatti è, perché quella meravigliosa Abbazia costruita intorno al 1000 dai Benedettini è  la Badia a Coltibuono, una dei Top 10 POI (Point of Interest) toscani secondo i navigatori satellitari.

Andrea seduto nel primo banco si illumina: ci è stato da poco in questa meravigliosa struttura di proprietà di Emanuela Stucchi Prinetti, trasformata in un Wine Resort dove si può soggiornare e pranzare nel ristorante interno. La spilletta del Gallo Nero sulla sua giacca lo conferma: siamo a Gaiole (Si) nel Chianti Classico, come poteva mancare il Sangiovese nella sua migliore espressione in una serata in cui raccontare l’Italia del vino?

Il Chianti Riserva di Badia a Coltibuono, l’azienda più grande fra quelle selezionate, oltre 700.000 bottiglie, è vino di razza e lo si sente scalpitare nel bicchiere in tutta la sua sontuosità, malgrado i 24 mesi trascorsi in botte grande e qualche anno di affinamento in bottiglia (abbiamo degustato il 2008), così uguale eppure così diverso dal vino nell’altro bicchiere, dove invece sembrano essere la finezza e l’eleganza le note caratteriali.

Allora si passa anche a guardare le immagini relative al secondo vino rosso: se il gusto sembra familiare, confonde invece il maestoso paesaggio della catena alpina innevata, dietro le vigne. In realtà è un effetto ottico del teleobiettivo che schiaccia facendo sparire la profondità di campo, perché il Monte Rosa (che nessuno dei presenti riconosce) non è così vicino come sembra.

Tuttavia non potevamo che essere ovviamente in Piemonte, l’altra Regione dei grandi rossi.

Solo che per disorientare la platea non abbiamo scelto un vino di Langa come sarebbe stato fin troppo scontato attendersi, ma un nebbiolo prodotto nella minuscola docg di Ghemme, nell’alto novarese.

L’eleganza allo stato puro, avete presente quando si dice che un vino è perfetto?

Un naso pieno di rosa, balsamico, intrigante, un gusto vellutato, sembra quasi seta che ci accarezza il palato. Platea meravigliata, perchè se era logico aspettarsi il Piemonte a rispondere alla Toscana, chi avrebbe mai detto che un vino di questo livello potesse arrivare da una zona poco nota persino agli abitanti della stessa Regione?

Tolta la stagnola ecco l’Abate di Cluny, una leggera surmaturazione delle uve nebbiolo, una fermentazione in acciaio e poi 24 mesi di maturazione in botti grandi da 30 hl.

E’ l’omaggio che Alberto Arlunno, proprietario di Antichi Vigneti di Cantalupo, ha voluto dedicare alla Borgogna a cui si ispira, a quel Maiolo, quarto Abate di Cluny, l’Abbazia che tanto ha fatto per la nascita dei vini di qualità nel mondo e che sicuramente aveva possedimenti antichi anche nel novarese visto che la valle confinante con i vigneti di Cantalupo proprio Maiolo si chiama.

Alberto Arlunno non è solo uno dei più grandi interpreti del suo territorio che ha saputo portare a livelli di eccellenza che sorprendono i non addetti ai lavori, è anche un uomo di straordinaria cultura e umanità che è un piacere ascoltare per ore, come accadde nella serata nebbiolo di Viva il Vino in cui fu ospite a sorpresa.

E’ quasi mezzanotte e il finale è in dolcezza.

La platea non è più timida e i più sembrano riconoscere i paesaggi sullo schermo, che ricordano l’ingresso in Alto Adige. Dall’altro lato della montagna quel paesino assomiglia a Tramin mentre sullo sfondo quello specchio d’acqua è familiare: sarà mica il Lago di Caldaro?

Questa volta niente sorprese, la platea ha ragione anche se, a voler essere pignoli, nessuno dice che siamo a Montagna (Bz), dove pure alcuni ospiti della serata ci sono stati, proprio accompagnati da Max Wine.

“La pentola d’oro che sta al fondo dell’arcobaleno”: con queste parole la nostra socia Valery McFly definì questo vino meraviglioso la prima volta che lo presentammo. E anche a “L’Italia nel Bicchiere è stato accolto da mugolii di giubilo per la sua elegante delicatezza al naso dove la rosa e i frutti di bosco la fanno da padroni e soprattutto per la piacevolissima beva che ha sorpreso chi non lo conosceva. Molti lo hanno definito passito, invece così non è: è semplicemente un vino dolce!

Stiamo parlando del Moscato Rosa di Franz Haas, uno dei motivi per cui vale la pena vivere e apprezzare il vino!

Accompagnato da una fresca crema con amarene (ma sarebbe stato perfetto anche con una crostata di frutti di bosco), questa autentica chicca è solo una delle meraviglie che Franz Haas produce in questo angolo incantato del mondo, dove dall’alto del  Cru Mazzon ci delizia anche con uno dei migliori Pinot Noir che esistono in circolazione (lo Schweizer).

E’ il momento di votare il Vino Emozione, la spunta il Plus di Bastianich (che ogni volta che viene a Viva il Vino sbanca) precedendo il Moscato Rosa di Franz Haas.

Ma l’emozione più grande è stata ancora una volta vedere la soddisfazione di una platea di neofiti di fronte a grandi vini di qualità raccontati attraverso storie di vita e di territori: persone che amano solamente bere bene e che siamo sicuri di avere avvicinato al vino.

Dando vita peraltro a un interessante format di comunicazione e marketing con il quale anche un’azienda finanziaria può raccontarsi attraverso il vino: grazie quindi al nostro socio Mauro per la grande opportunità che ci ha concesso

Comments

  1. E’ stato con immenso piacere e stupore che ho aperto le mail questa mattina ed ho letto il vostro splendido articolo, le cose inaspettate effettivamente sono spesso le più gradite….grazie di cuore per avere pensato alla nostra azienda ed al nostro Moscato Rosa. Molto bello e particolare il commento fatto dalla signora Valery sul Moscato Rosa…grazie per avere pensato a noi e per avere scritto di noi. Quando vorrete ed avrete tempo, non sarebbe male avervi tutti in azienda e quindi a presto e tante belle cose a tutti. Maria Luisa Manna

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