La grande cultura contadina

Viva il Vino incontra

Anna Maria Abbona e Claudio Boasso

La cultura contadina è il legame con il territorio, il voler tramandare ai figli valori e tradizioni che fanno parte del proprio essere, radici di cui essere sempre fieri.

Ce lo hanno raccontato in una di quelle serate che trasuda di passione per il proprio lavoro due piccoli vignaioli di quelli che contribuiscono a fare grande il Piemonte: Anna Maria Abbona, Nostra Signora del Dolcetto, da Farigliano, Media Langa e Claudio Boasso, interprete magistrale del Barolo di Serralunga d’Alba, quello che per gli appassionati è il cuore della Docg, per i suoi vini possenti e pieni di forza.

O forse più che raccontarcelo, si sono raccontati, ripercorrendo con gioia ed entusiasmo il loro cammino e soprattutto quello di genitori, nonni, bisnonni, perchè tradizione fa rima con generazione.

Scopriamo così che il papà di Anna Maria Abbona, nato nel 1935 in una Langa poverissima che all’epoca non garantiva la sussistenza a chi coltivava la terra, rimane l’unico di quella collina a non trasferirsi a Torino per lavorare in fabbrica, rinunciando al posto fisso, allo stipendio garantito e ai maggiori comfort che la vita di città iniziava a garantire. L’attaccamento alle proprie origini e la libertà di poter decidere ogni giorno del proprio lavoro valevano una vita di sacrifici, anche grossi.

Ma proprio “il vedere i miei genitori lavorare tantissimo per niente” porta Anna Maria a desiderare fin da bambina di diventare architetto e di cercare prospettive migliori lontano da quella terra ai cui era legatissima dai ricordi anche del nonno, ma che ai suoi occhi rappresentava tanta fatica e rischi non ricompensati.

Se si è sognatori e si ha l’incoscienza utopica dei 25 enni però può anche capitare che dopo aver intrapreso la carriera di grafico pubblicitario a Mondovì, di punto in bianco decidi di buttare la matita: la svolta arriva nel 1989 quando papà Giuseppe decide di vendere i terreni ed estirpare i vecchi vigneti, non avendo altri figli oltre Anna Maria. E’ quello il momento in cui il richiamo della sua terra si fa irresistibile e Anna Maria, col giovane marito Franco Schellino, anche lui di origine contadina, decide di scommettere su un progetto che all’epoca poteva sembrava folle, ma che oggi li ha portati ad essere un saldo riferimento per la produzione del dolcetto di qualità (ma non solo) in Italia e all’estero.

Oggi possiamo dire che il sogno di crescere una famiglia trasmettendo quei valori che erano nel suo Dna è stato più forte delle difficoltà affrontare per realizzarlo.

Ed è sempre la passione e il legame con le proprie origini che hanno portato Franco Boasso, il papà di Claudio, a rimanere anche lui nella piccola borgata Gabutti di Serralunga d’Alba rinunciando negli anni ’70 alla più remunerativa occupazione presso la Ferrero dove tutti i suoi coetanei accorrevano contribuendo a creare la forza lavoro di quell’industria destinata a diventare un colosso mondiale del dolciario.

Anche a Serralunga come a Dogliani a quei tempi la vigna non dava da vivere, erano il grano e gli animali a fornire una fonte di sostentamento; l’uva era in prevalenza venduta e il vino lo si produceva in piccola quantità, nella speranza di trovare qualche commerciante disposto a comprarlo: sul prezzo non c’era discussione, si prendeva ciò che il negoziante era disposto ad offrire.

Ma Franco Boasso era l’unico ad avere i vigneti su quella collina dove già suo padre diceva che le uve erano così belle da spuntare sul mercato un lira in più e quindi non voleva rinunciare al sogno di trasformarle in un buon vino.

E’ lo scandalo del metanolo a dare un forte scossone nell’ambiente produttivo delle Langhe: vista oggi a distanza di tempo si può dire che sia stata la vera fortuna di quel territorio. Perchè da lì in poi tutto cambia, finalmente si inizia a parlare di qualità e non più soltanto di prezzo, i vignaioli che vogliono fare bene cominciano ad emergere e a valorizzare i propri territori. Nel ’90 Boasso esporta negli USA la sua prima partita di vino, 150 bottiglie, un nulla, ma è un segnale che dà ulteriore impulso a migliorarsi e a credere nelle proprie potenzialità.

La sfida futura per questi vignaioli sono i mercati globali che rappresentano un continuo stimolo e strumento di comparazione. “La carta vincente per i nostri vini è simboleggiata dalla loro identità e tipicità, è su questo che dobbiamo puntare” dice Anna Maria, nello sguardo vispo e solare la convinzione che la sua amata terra le darà ancora tante soddisfazioni.

Una serata ricca di emozioni e genuinità, iniziata con la degustazione dell’Aleman, il Riesling di Abbona, dai sentori intensi, fruttati, minerali ed erbacei  a dimostrazione che la Media e l’Alta Langa con il loro tufo e le marne calcaree e con una altitudine notevole (i vigneti dell’Abbona sono fra i più alti del Piemonte) hanno ottime potenzialità per diventare terra da grandi vini bianchi.

Si passa a Serralunga con la Barbera d’Alba di Gabutti-Boasso, un vino del cuore per questa famiglia che ha ovviamente il Barolo nel dna, ma abbiamo bisogno di produrre anche vini che non siano Barolo, sia per una questione di prezzi, sia per avere dei vini di pronta beva” dice Claudio:  passaggio di un anno in botte grande e poi vasche di cemento vetrificate. Un vino di struttura, ma anche con una beva che sorprende per la vellutata morbidezza che lo rende pronto subito e meraviglioso negli anni.

Poi è la volta di due Dogliani proposti in parallelo, ma gemelli diversi. Più immediato con sentori vinosi e schietti il Sorì dij But, anche più beverino e con un finale ammandorlato. Frutto di diversi vigneti di oltre 40 anni di età, fermenta e vinifica in inox e si presenta molto più interessante di quanto sarebbe lecito attendersi da un Dolcetto più classico.

Addirittura “un Dolcetto che amaroneggia” il San Bernardo, proveniente da un unico vigneto del 1943, il più alto dell’azienda a 550 metri sul livello del mare e le cui uve vengono vendemmiate con una surmaturazione di dieci-dodici giorni rispetto al normale tempo di raccolta. Tempi di macerazione di quasi due settimane e affinamento in botti grandi per due anni, lo rendono un vino di potenza e persistenza, ma anche fresco ed elegante. Solo 4.000 bottiglie prodotte, vino da avere assolutamente in cantina.

Gran finale con il Barolo Serralunga e il Barolo Gabutti. Langa autentica e pura, il terroir di Serralunga che si esprime nella sua autenticità, l’uso di grandi botti di rovere di Slavonia in cantina nel rispetto della vera tradizione barolista. La cosa incredibile è che la collina è la medesima, la distanza in linea d’aria fra i vigneti è di circa 150 metri, lo stile e le tecniche di vinificazione e maturazione sono identiche per entrami i vini, tre anni pieni in legno grande, quello che cambia è esclusivamente l’esposizione dei vigneti.

Eppure appaiono così diversi in questo momento: finezza, eleganza e intensità in entrambi, ma il Serralunga si presenta con sentori di frutta surmatura e speziati e una facilità di beva persino sorprendente visto che è di Barolo che stiamo parlando. Invece un plauso particolare al cru Gabutti, non per nulla le uve venivano già un tempo pagate una lira in più delle altre: amarena sotto spirito e delicate note di viola si armonizzano con complessità balsamiche mentre un sorso decisamente più strutturato e robusto ci attende al palato, dove il tannino esprime tutta l’esuberanza per la quale è riconosciuta la zona di Serralunga e che solo in parte – per il momento – è mitigato dalla piacevolezza dolce della ciliegia e dalle morbidezze frutto di tanto alcol e struttura.

Come non chiudere ricordando le parole di Claudio: “Tutto nasce dalla passione che si ha per il territorio, è una passione la nostra, non un mestiere”

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