SAUVIGNON – 6 dicembre 2011

Dopo il Pinot Noir, la seconda tappa sui vitigni nobili al Museo del Gusto di Frossasco ha visto protagonista il sauvignon, uno dei bianchi fra i più diffusi del pianeta. Aula strapiena, persino una partecipazione come regalo di compleanno per un gruppo di giovani neofiti che amano evidentemente bere bene!

E d’altronde il sauvignon con le sue caratteristiche aromatiche e i suoi sentori tipici che lo rendono facilmente riconoscibile è un vitigno amato presso il grande pubblico, non per nulla gli appassionati più radical chic talvolta ne prendono le distanze giudicandolo poco stimolante per le loro narici intellettuali.

Sentori erbacei e vegetali che risultano essere ancora più marcati laddove si anticipa la vendemmia per esaltare la caratteristica acidità di questo vino, ma che invece sono meno evidenti nei sauvignon ottenuti da vendemmie ritardate per cercare maggiore finezza a discapito delle caratteristiche tipiche del vitigno.

Climi freschi e continentali aiutano a sviluppare gli aromi più tipici rispetto invece a quelli prodotti in zone più calde, ma l’elemento che forse ancora di più fa prendere strade diverse ai sauvignon che vi capiterà di assaggiare è la fermentazione: laddove ciò avviene in acciaio i caratteristici sentori erbacei e minerali rimarranno quasi integri. Avremo vini dalla spiccata acidità che sarà meglio bere nel giro di pochi anni per non perdere in qualità. Laddove invece la fermentazione e ancor di più la maturazione avviene in legno l’uva perde parzialmente la sua tipicità aromatica, l’acidità si ammorbidisce, si aggiungono sentori nuovi e complessi e si ha un vino maggiormente strutturato che solo nel tempo saprà concedersi al meglio.

Ecco spiegato perché partendo dalla stessa uva possiamo assaggiare dei vini estremamente differenti l’uno dall’altro a seconda del tempo di vendemmia, del tipo di vinificazione e dell’area di provenienza.

Per quanto riguarda quest’ultima, diciamo che i più importanti sauvignon di lungo invecchiamento, struttura complessa e con tanto utilizzo di barrique di legno arrivano dalla zona delle Graves in Bordeaux, mentre quelli forse più tipici provengono dalla zona di Sancerre, praticamente al centro esatto della Francia. A pochi chilometri da qui, i terreni ricchi di tufo e silice intorno a Pouilly sur Loire contribuiscono alla nascita di alcuni dei sauvignon più famosi, i Pouilly-Fumè, chiamati così proprio per l’evidente sentore di pietra focaia.

Detta così potrebbe sembrare anche una cosa sgradevole, invece parliamo di alcuni dei vini bianchi più eleganti al mondo.

A proposito di sentori sgradevoli, il sauvignon è noto ai più per il suo famoso odore di pipì di gatto, che qualcuno più elegantemente riconduce invece a sentore di bosso: non è nient’altro che a causa della pirazina, una molecola dell’azoto, un aroma varietale presente all’interno dell’uva sauvignon in maniera davvero marcata, oserei dire inconfondibile …

Oltre alla Francia, altre importanti zone di produzione sono la California e l’Oregon negli Stati Uniti, il Cile nella Valle di Casablanca, il Sud Africa nella penisola di Constantia, ma soprattutto la Nuova Zelanda che ha trovato nell’area di Marlborough le condizioni ideali per il sauvignon, al punto che è proprio a partire da questo vitigno che il Paese ha costruito la sua immagine di Nuovo Mondo del vino.

Le nostre serate però vertono principalmente sull’espressione che questi vitigni internazionali raggiungono nel nostro Paese, allora prima di aprire le bottiglie dobbiamo ancora aggiungere che le aree italiane nelle quali si ottengono i risultati migliori sono a Nord Est del Paese e quindi Friuli e Alto Adige si pongono come le zone di provenienza dei migliori sauvignon italiani. Qualche risultato molto interessante proviene anche dalla zona dei Colli Bolognesi, dopo di che il sauvignon è comunque un vitigno utilizzato un po’ in tutto il nostro Paese, zone più calde comprese.

Dopo questo breve excursus nel mondo del sauvignon, è ora di passare alla verifica sul campo di quanto finora detto: sono ben sei le bottiglie in degustazione, naturalmente alla cieca.

Si comincia con il Piere di Vie di Romans , siamo a Mariano del Friuli, provincia di Gorizia, a casa di uno dei grandi nomi della viticoltura friulana, laddove le caratteristiche del terreno sono fra le più simili a quelle del centro della Francia.

Di un lucente giallo paglierino dai riflessi verdolini, il Piere, annata 2009, ha un naso elegante, intenso e tipico della varietà con note erbacee evidenti, ma anche di frutta esotica. Certo è dotato di freschezza, ma tanto alcol (14,5%) e una piacevole morbidezza lo rendono assolutamente equilibrato. Sembra fin troppo “costruito” nella sua perfezione,  a conferma che malgrado i soli due anni, è già nella sua forma migliore, anche a seguito della sua tipologia di vinificazione, che avviene solo in acciaio.

E’ considerato uno dei sauvignon migliori che ci siano in Italia.

Il campione numero due appare meno lucente come colore, di un giallo paglierino tenue; meno intenso del precedente anche al naso, dove prevalgono i sentori fruttati rispetto alle più caratteristiche note erbacee che ci saremmo aspettati. Notevole la freschezza e la persistenza, anche in questo la franchezza varietale complessiva ci fa propendere per una vinificazione solo in acciaio. E così è, perché anche il Sanct Valentin 2010 della Cantina St. Michael di Appiano, cooperativa di cui trovate ampie notizie nel reportage sul Lago di Caldaro, viene vinificato solo in acciaio, a cui segue un affinamento sui lieviti.

Siamo in Alto Adige e abbiamo di fronte uno dei vini bianchi  più celebrati e premiati in Italia dalle Guide, non però secondo il giudizio della nostra platea di stasera che non lo collocherà nelle prime posizioni.

Si passa alla terza bottiglia. Le note verdoline fin qui presenti nei vini precedenti lasciano il posto a un colore giallo paglierino carico. Muta anche lo spettro olfattivo, con note dolci di miele, persino resina e poi una marcata mineralità con la caratteristica pietra focaia. Anche al gusto vi è una discreta differenza rispetto a quanto finora assaggiato: l’acidità pare meno marcata, la piacevolezza della beva è rafforzata da una lunga persistenza. Sta a vedere che questo vino affina in legno … invece non è così: vinificazione e maturazione regolarmente in acciaio per conservare freschezza e aromi tipici del vitigno (sic!). Sta a vedere che non siamo in Italia… così è: trattasi del famoso Ladoucette, uno dei sauvignon prodotti dalBarone Patrick de Ladoucette e dalla sua famiglia che da generazioni è una delle più note produttrici di grandi vini, con proprietà in diverse zone della Francia. A Pouilly, dove l’azienda ha sede nel magnifico Chateau de Nozet, sulle rive della Loira, producono sauvignon di fama mondiale. Oltre al Ladoucette 2008 che avevamo in degustazione e che può considerarsi quasi una linea classica, il pensiero va subito al più famoso Baron de L, ottenuto dalla selezione delle migliori uve provenienti da vigne di oltre trent’anni e considerato la più alta espressione al mondo del sauvignon. Sono vini comunque importati anche nel nostro Paese: il distributore è un’azienda torinese,Sagna, che ha in catalogo solo grandissimi vini.

Il Ladoucette per la platea risulterà essere il vino della serata, in realtà con lo stesso punteggio del vino seguente, ma con più persone che lo hanno considerato il miglior vino. Una specie di vittoria all’Overtime quindi, parafrasando il linguaggio sportivo.

E allora quale sarà stato questo quarto vino arrivato a contendere la vittoria al Ladoucette?

E’ il Picol 2010 la risposta alla Francia, frutto di un terroir davvero speciale, quello della riva destra dell’Isonzo e del lavoro di un’altra delle aziende italiane pluri-premiate, la Lis Neris di Alvaro Pecorari, la Via Friulana al Sauvignon.

Anch’esso paglierino carico, ricco di sentori erbacei e vegetali che prevalgono su note fruttate e floreali comunque evidenti, è in bocca che però sorprende, rivelandosi nella mia personale valutazione il vino più straordinario della serata: una piacevolissima freschezza equilibrata da altrettante morbidezze. Scopriremo dopo perché: fermentato in acciaio, questo vino fa un affinamento di undici mesi con una maturazione combinata di inox e di legno, in tonneau di grande capienza che quindi esercitano un’azione del legno più leggera ma efficace.

La serata è ancora lunga: quinto vino, nuovamente dal bel colore paglierino con riflessi dorati. Appare subito come il meno varietale, note dolci di frutta esotica e candita, molti profumi terziari che vanno a combinarsi con quelli più tipici del vitigno. In bocca si ha corrispondenza con quanto espresso al naso e prevalgono nettamente le morbidezze, a dispetto dell’acidità decisamente più marcata evidenziata negli altri vini.

Qui all’unanimità tutti riconoscono la presenza del legno: si tratta di tonneau nuove da 350 litri dove il Ronco del Re 2006 è rimasto a maturare per dieci mesi. Siamo sui Colli della Romagna, fra Faenza e Forlì su terreni ricchi di marna e calcare dove l’azienda Castelluccio ha trovato un microclima per impiantare nella terra del sangiovese un vitigno atipico da queste parti, quel sauvignon che invece ha dato tanto lustro e vanto all’azienda di Claudio Fiore.

Certamente diverso rispetto ai vini che lo hanno preceduto, non solo per la zona, ma anche per i cinque anni di invecchiamento, ma non per questo meno degno di partecipare a questo straordinario Festival del Sauvignon che ci ha visti spaziare dalla Loira all’Isonzo passando per il Lago di Caldaro e dopo la Romagna ci vedrà tornare ancora in Le Centre della Francia per la chiusura della degustazione con la sesta bottiglia, nuovamente un Pouilly-Fumè.

Si tratta di Les Filles di Serge Dagueneau et Filles, cugino peraltro del tragicamente scomparso Didier, l’eccentrico personaggio che con il suo Silex ha rivoluzionato l’immagine mondiale del sauvignon.

Si parte da una vendemmia quasi sovra matura, quando la stagione lo consente (addirittura il 14 ottobre per il 2009, l’annata in degustazione), per favorire lo sviluppo di note di frutta in confettura, esotica e dare eleganza e finezza.

Bel colore paglierino con riflessi dorati, al naso però sembra non esprimersi appieno come se avesse  bisogno di ulteriore tempo nel bicchiere per aprirsi di più, indice probabile di complessità.

Una beva piacevole, da sauvignon mi verrebbe da dire… ma la freschezza così marcata è persino troppa, malgrado sia la fermentazione che il successivo affinamento avvengano per l’80% in acciaio e per un 20% in barrique di legno.

Ecco che allora siamo di fronte a un vino in divenire, che esprimerà il meglio di sé fra quattro o cinque anni quasi a voler sottolineare come la complessità e la struttura dei sauvignon provenienti dalla zona più vocata al mondo non possa comunque essere raggiunta dai migliori sauvignon italiani che si sono presentati invece pronti e che hanno quindi un’evoluzione molto più rapida.

Non male quindi come serata di approfondimento sul sauvignon quella del dicembre 2011 al Museo del Gusto, che ha portato i presenti a constatare come questo particolare vitigno semiaromatico non sia poi solo proprio  pipì di gatto….

E poi, se per altri vitigni i costi proibitivi delle bottiglie non consentono al nostro livello di organizzare serate con alcune delle migliori bottiglie al mondo di quella tipologia, nel caso del sauvignon – a parte qualche eccezione riguardante in particolare la zona di Bordeaux – i prezzi delle etichette  più importanti in assoluto gravitano intorno ai 30 euro max a bottiglia: possiamo quindi dire di aver dato vita a una serata veramente di Top Sauvignon.

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