Nord-Sud in rosso: mille e una di queste serate!

L’Italia in 8 bicchieri, scelti fra il meglio del Vinitaly. Questo il sottotitolo che avevamo dato al nostro appuntamento di aprile, spinti dalla nostra sortita di qualche settimana prima alla Fiera di Verona, fonte di ispirazione per proporre tanta qualità ai soci sostenitori e agli amici che ci seguono con tanto entusiasmo.

Già, quale occasione migliore se non il Vinitaly per assaggiare in incognito fra i padiglioni  di tutte le nostre Regioni molti vini che avevamo preventivamente selezionato a tavolino, per poi scegliere quelli effettivamente da “convocare” nella nostra sfida Nord-Sud in Rosso del 30 aprile?

Ci vorrebbe un Vinitaly al mese per organizzare al meglio i nostri eventi, anche se poi in rosso più che la serata finirebbe il bilancio dell’associazione!

Nell’inconsueto anticipo pre-festivo, ha avuto ragione chi ci ha preferiti ai Ponti o alla serata con gli amici (e noi cosa siamo?), perché se già era stato emozionante il viaggio nell’Italia dei grandi vini bianchi , con Nord-Sud in rosso i presenti hanno aggiunto altri tasselli importanti nel loro quadro dei vini emozione.

Con un finale che nemmeno il miglior regista avrebbe saputo immaginare.

Questa volta si comincia con le squadre subito in campo senza alcuna informazione nemmeno su quali sono le regioni e quali i territori selezionati, ci sarà tempo di approfondire i temi durante la serata, per cui la platea è a conoscenza solo del fatto che 4 vini provengono dal Nord e 4 vini provengono dal Sud.

Ma è una platea preparata o forse semplicemente le differenze strutturali fra i grandi rossi provenienti da zone fredde e quelli dove invece il sole impera, sono talmente marcate che alla fine saranno in tanti quelli che sono riusciti a distinguere l’area geografica di pertinenza: Daniele e Stefano hanno fatto addirittura en-plein.

Non altrettanto facile è stato invece capire di quali regioni fossero i vini non avendole dichiarate all’inizio, al punto che i più bravi ne hanno indovinate solo 2 su 8, missione disorientamento perfettamente riuscita!

Ed eccoci allora a dare inizio alla consueta sfida “emozione”, il momento in cui la scelta fra due vini avviene solo sulla base del sentimento che quel vino ha trasmesso.

Quarti di finale, il sorteggio mette di fronte il valdostano Vigne de Torrette Superiore di Di Barrò e il Cannonau Ballu Tundu di Sedilesu, Sardegna. Ed è subito giallo! Perché la sfida finisce in perfetta parità ed è solo per il voto di MaxWine – determinante in caso di parità – che il Torrette approda in semifinale.

Nelle altre sfide il pugliese Primitivo Tretarante di Milleuna ha la meglio sullo Sfursat di Valtellina Albareda di Mamete Prevostini, il Merlot Ros di Buri di Meroi, produttore friulano, si impone all’Aglianico Naima di De Concilis, viticoltori nel Cilento e il Capitolo Laureto, negroamaro ancora di Milleuna viene considerato più emozionante del Faye Rosso dei trentini Pojer & Sandri.

La prima semifinale fra il pugliese Tretarante e il valdostano Torrette decreta che il Primitivo di Milleuna sarà la prima finalista nella sfida più equilibrata, mentre la seconda semifinale fra il Capitolo Laureto e il friulano Ros di Buri spedisce in finale ancora un vino pugliese, il Negroamaro.

Il Ros di Burì si rifà nella finalina per il bronzo, conquistando così il gradino più basso del podio.

Mentre la incredibile finale mette di fronte non solo due vini della stessa regione, ma addirittura dello stesso produttore: quello che per noi era stato uno scherzetto per confondere le acque (due vini della stessa regione) diventa invece uno straordinario derby fra due vigne e due vitigni del Salento distanti poche centinaia di metri e il vino emozione risulta essere indiscutibilmente il Capitolo Laureto, il vino che non c’è!

Già, perché Capitolo Laureto era stato per noi anche il vino più emozionante nei nostri oltre 60 assaggi al Vinitaly, sebbene degustato appena entrati in salone, a digiuno e a mezzogiorno. Un vino che avremmo quindi subito selezionato per il nostro Team Sud. Ma Dario Cavallo, il produttore che ascoltarlo è anch’essa un’emozione, ha spento i nostri entusiasmi: quel Capitolo Laureto era un vino di così poche bottiglie che di fatto non esisteva più e quindi avrebbe preferito far vedere ai “piemontesi” che anche al Sud si fanno grandi vini partecipando con il suo vitigno del cuore, il Primitivo. Alla fine dopo tanto insistere li abbiamo portati tutti e due a indossare la maglia della Nazionale del Sud a discapito di altre zone (abbiamo tenuto fuori per esempio la Sicilia) e il nostro azzardo li ha fatti arrivare entrambi in finale!

La nostra platea piemontese ha quindi fatto pesare la bilancia dell’emozione dalla parte del Sud, così come poche settimane prima nella serata Nord-Sud dedicata ai bianchi era stato il Fiorduva di Marisa Cuomo, Costiera Amalfitana, il più emozionante: tutto ciò avviene al Museo del Gusto di Frossasco, latitudine 44.93°!

Aldilà delle sfide emozione, che come amiamo dire noi sono solo il momento ludico della serata,  nella discussione finale è emerso che complessivamente anche i vini del Nord erano caratterizzati da possenza, corpo e muscoli, mancava cioè lo stile Pinot Noir che forse avrebbe potuto creare una reale antitesi fra Nord e Sud. E i vini che hanno attirato l’attenzione principale nel corso della seconda e più approfondita degustazione sono stati quelli come il Naima, il Ballu Tundu e l’Albareda, eliminati al primo turno nelle sfide dell’emozione.

Quasi a voler confermare come istinto e razionalità fanno prendere risultati diversi anche in fatto di vini.

E scopriamoli allora uno alla volta gli otto vini di questa piacevolissima serata.

Partendo dal Faye Rosso di Pojer & Sandri, una delle realtà più importanti del Trentino, nel cuore della Val di Cembra, a Faedo. A due passi dalla scuola enologica di San Michele all’Adige, da cui è uscito Mario Pojer che ha incrociato la propria storia con quella di Fiorentino Sandri, suo amico che aveva ereditato due ettari di vigne. Insieme hanno costruito la loro fortuna, di cui ne sono beneficiari anche i tanti amanti del buon bere che ben conoscono la produzione di questa celebrata azienda non solo in rosso, ma anche e soprattutto in bianco.

Il Rosso Faye lo abbiamo scelto perché connubio fra vitigni internazionali (50% cabernet sauvignon, poi anche Cabernet Franc e Merlot) e il vitigno autoctono dell’area atesina, il Lagrein. E seppur uscito subito di scena nella sfida emozione, avendo trovato sulla sua strada il vincitore, in realtà alla degustazione è apparso molto complesso, con sentori non così suadenti, come il pellame (qualcuno ha specificato che si trattava di quello del tasso …), cuoio, cioccolato, altri fortemente varietali come il peperone. I profumi di frutta evocano invece la confettura di prugne che si attacca al fondo della pentola facendo la marmellata. Al gusto si presenta già morbido, con un tannino molto lineare e di struttura importante.

Un perfetto combinato fra la coltivazione in un terroir speciale come quello di Faedo, l’azione di un clima perfetto su vitigni bordolesi e una tecnica di vinificazione che lascia l’impronta con un affinamento in barriques di rovere nuove.

Anche se in realtà ha confuso la platea, perché quasi la metà lo ha in realtà associato a una regione del Sud.

Dal Trentino ci spostiamo in Valtellina, dove la coltivazione della vite è fatica vera, quasi “eroica”, con i vigneti migliori posti a circa 600 metri di altezza in pareti ripide e scoscese che tranne rare eccezioni con consentono l’uso di mezzi meccanici.

Quanti sanno che in questi 900 ettari in provincia di Sondrio è proprio da un clone dell’uva piemontese più nobile, il nebbiolo, che qui nasce un altro di quei miracoli poco conosciuti della nostra Bella Italia del vino?

Cinque sottozone dove si producono austeri ed eleganti vini rossi, come Inferno, Sassella, Grumello, Maroggia e Valgella e poi la chicca dello Sfursat, Sforzato vuol dire, cioè in pratica uve lasciate appassire fino alla fine di gennaio in apposite cassette riposte in un fruttaio prima di vendemmiarle (come si fa anche con l’Amarone di Valpolicella).

Il risultato è un vino di grande alcolicità (15°-16°) e di straordinaria morbidezza. Come l’Albareda prodotto da Mamete Prevostini che già negli anni ’20 produceva il vino per i clienti del ristorante di famiglia. Oggi questa è una delle realtà più interessanti della Valtellina, capace di dare uno stile in cui il terroir e il vitigno danno carattere al vino senza essere sovrastati dall’utilizzo del legno. Lo stesso Albareda fermenta in acciaio prima di affinare 18 mesi in fusti di rovere.

Profumi evoluti, note speziate, balsamiche, ciliegia sotto spirito, epperò anche una nota dolce, qualcuno azzarda sensazioni passite e ci prende! Al gusto è sicuramente morbido e caldo, da risultare gradevole fin da subito, ma nel contempo altrettanta freschezza conferisce equilibrio e garantisce una vita lunghissima all’Albareda.

Per chi ama il nebbiolo a prescindere, questo è stato ovviamente il vino emozione.

Rimanendo ancora al Nord, la scommessa l’abbiamo vinta schierando a sorpresa un vino valdostano, il Torrette Vigne de Torrette, che già molto ci aveva convinto nei veloci assaggi al Vinitaly.

Regione di produzione marginale nel contesto del vigneto Italia, pochi ettari rubati alla montagna, anche qui come in Valtellina, possiamo definirla viticoltura “eroica”.

Come quella dell’azienda Di Barrò, che a Saint Pierre in tutto produce 20.000 bottiglie l’anno, dove Andrea Barmaz (che è anche Direttore della Ricerca e Sperimentazione all’Institut Agricole Regional di Aosta), con la moglie Elvira porta avanti la sua passione di vigneron producendo svariate tipologie sia di bianchi, sia di rossi, legate a vitigni autoctoni come il Petit Rouge e il Fumin o internazionali come lo Chardonnay, il Pinot Gris, il Syrah, tutte produzioni da max. 2000 bottiglie l’anno.

Aldilà dell’emozione, che aveva portato il Torrette fino in semifinale, sconfitto poi con molta dignità, nella degustazione questo vino ha attirato molti commenti dei partecipanti per la sua atipicità rispetto al resto dello schieramento. Già, perché questo vino viene realizzato con l’autoctono Petit Rouge (90%), da un vigneto a 750 metri d’altezza, in leggera surmaturazione, cioè vendemmiato un paio di settimane dopo quello che sarebbe il momento migliore, quasi come a voler fare un vino dolce. Ma soprattutto Andrea Barmaz segue con determinazione la via dell’acciaio, perché nessuno dei suoi vini, bianchi o rossi, leggeri o strutturati, vede il legno, completamente dismesso dalla cantina.

Il nostro Torrette poi nell’acciaio ci passa un tempo infinito, 36 mesi, per affinare esclusivamente sulla base del processo evolutivo del vino, senza fattori esterni.

Il risultato è che il Torrette si presenta varietale come non mai, naso e gusto non hanno alcun condizionamento da fermentazione e maturazione in legno. Ecco allora una platea timorosa di parlare, ma colpita da questo vino, apparso nelle sfide emozione come un gracile Davide che aveva però tenuto testa ben due volte ai muscoli del Gigante Golia (i vini del Sud). Ecco allora che il piacevole sottobosco e la speziatura si mescolano con sentori complessi che qualcuno definisce quasi ruggine, altri note salmastre e vegetali, persino un richiamo alle olive verdi. E poi un gusto dove la spalla acida è netta, non ha quel compromesso frutto del passaggio in legno che qui non esiste. Ma la surmaturazione ci regala anche un’alcolicità inusuale per un rosso valdostano, siamo a 14,5°, e di conseguenza ci troviamo di fronte a un equilibrio e a una eleganza complessiva utili a vincere qualsiasi stereotipo sulle gradazioni alcoliche valdostane!

Chiudiamo lo Special Team del Nord in Friuli, anche qui orgogliosi di avere presentato una realtà minuscola, quella di Paolo Meroi, artigiano del vino come ama definirsi lui che produce meno di 20.000 bottiglie a Buttrio, nel cuore dei Colli Orientali del Friuli, terroir tipicamente da grandi bianchi italici. E qui noi abbiamo scelto un rosso, frutto del vitigno più coltivato al mondo, il Merlot.

Che nelle sfide emozione Meroi potesse andare molto avanti non avevamo dubbi: troppe le caratteristiche in fatto di piacioneria che il Merlot si porta dietro e che ne fanno un vino che strizza l’occhio ai meno estremisti e al pubblico femminile.

E da questa regola non si è discostato il pregevole Ros di Buri, né durante le sfide emozione, dove ha registrato un’unica sconfitta contro il vincitore della serata, né durante la degustazione di approfondimento, dove è apparso suadente, quasi ruffiano come fosse una spremuta di frutta rossa, in particolare confettura di mora e ricco di quei sentori più tipici che ci si aspetta: cacao, pepe e anche evidente vaniglia per via di uno stile di vinificazione basato sull’alchimia fra vino e legno, con 12 mesi trascorsi  in barrique.

Anche al gusto è quasi cremoso, morbido, fruttato, pieno, al punto che la platea va in tilt nella riconoscibilità territoriale: per metà dei presenti è vino del Sud!

E allora andiamoci a degustare lo Special Team del Sud.

Cominciando dalla Campania che cerchiamo di far conoscere ad ogni occasione possibile. Ovviamente Aglianico, ma dopo una infinita serie di assaggi al Vinitaly, la scelta è andata su un’area meno nota, quella del Cilento che tutti conosciamo probabilmente più per le meraviglie di Palinuro che non per la coltivazione della vite.

Ed è a Prignano Cilento che c’è un’altra delle aziende gioiello dell’Italia del vino di qualità, i Viticoltori De Conciliis, più generazioni impegnate a tirare fuori il meglio da quella terra che è un luogo benedetto dal cielo, come scrivono nel loro sito.

Naima, aglianico in purezza, la loro Anima, come il bravo Stefano ha immediatamente colto nell’anagramma del nome scelto per questo aglianico punta di eccellenza della loro produzione. Fermentazione in acciaio, affinamento prima in barrique, poi in tonneau, infine di nuovo in acciaio.

E proprio perché arriva dall’anima, ha bisogno di più tempo per concedersi, non è vino da tutto e subito, come invece gli sarebbe servito durante la sfida emozione. E’ o non è, dicono i De Conciliis, aspro e dolce allo stesso tempo, non è un vino costruito, anzi rifiuta il controllo.  Infatti in molti si sono ricreduti alla seconda degustazione, quando l’eleganza e la raffinatezza di questo vino sono emerse nel dargli personalità. Non è un vino che vuole essere piacione da subito ha cominciato a dire qualcuno; al naso un frutto sotto spirito fatto di ciliegia e mirtillo, ma anche tanto di erbaceo, il ginepro e una sensazione di fumo che taluni hanno ricondotto al profumo del vino cotto di sambuco che faceva la nonna quando si caramellava (e poi non dite che non siamo bucolici…).

Al gusto acidità e tannino evidenti ci fanno pensare a una vita davvero lunga per il Naima, che di conseguenza appare il meno pronto fra i vini della serata, quello più nordico fra quelli del Sud, talmente nordico che più di metà platea lo ha infatti immaginato del Nord!

Ma Naima era prontissimo la sera dopo – per chi ha avuto la fortuna di finire la bottiglia rimasta aperta – accompagnato a uno stracotto di cinghiale, un abbinamento da lacrima (perché è finito!)

Dalla Campania alla Sardegna, perché al Cannonau spetta di diritto una maglia nella nazionale del Sud.

A indossarla abbiamo chiamato Giuseppe Sedilesu, azienda di Mamoiada, piccolo villaggio nel cuore del Nuorese, ai limiti di quell’area da cui arrivano i migliori Cannonau e che si estende a tutta la fascia collinare litoranea, arrivando a sud di Jerzu.

Il difficile al Vinitaly non è stato scegliere l’azienda, perché da Sedilesu non saremmo più andati via, ma quale dei tanti Cannonau che ci ha fatto degustare facesse più al caso della nostra serata.

Alla fine abbiamo optato per il Ballu Tundu, ottenuto da un vigneto a 650 metri d’altezza con piante che hanno fra i 60 e i 100 anni!

Vino “Sliding Doors” l’abbiamo ribattezzato, perché se nella sfida emozione con il Torrette finita in parità avesse invece passato il turno, chi lo sa, magari sarebbe potuto essere anche il vincitore della serata.

Quel che è invece certo è che se qualcuno lamentava l’assenza di un Pinot Noir o un Nebbiolo, il Ballu Tundu ne ha ben recitato la parte, mostrando classe ed eleganza, malgrado arrivasse dal cuore di un’isola nel Mediterraneo e non dalla fredda Borgogna.

Sarà stato magari per via della ciliegia sottospirito, delle rose appassite, del tannino vigoroso, ma ben amalgamato, di grana finissima.

Qualcuno dei presenti l’isola comunque l’ha invocata, quando i sentori erbacei hanno richiamato cespugli di mirto, suggestione o naso fino, non lo sapremo mai!

Bocca poderosa, struttura robusta, notevole alcolicità, ma anche tanta acidità. Rese quasi da passito per questo fuoriclasse, 30 quintali per ettaro, che fa una lunghissima macerazione e un affinamento in botti di legno grande per due anni.

Un’altra di quelle aziende insomma da avere nell’agendina dei vini da non perdere!

Per come è andata la serata, non potevamo che lasciare la chiusura a Mille Una, che ha portato i suoi due vini e i due vitigni più caratteristici del Salento, il negroamaro e il primitivo, in finale a contendersi il titolo di vino emozione.

Ma aldilà del “colore” giornalistico di questo finale, questo angolo d’Italia ha lasciato il segno sulla platea. A cominciare dalle immagini dei vigneti da cui nascono questi vini, perché vedere piante di settant’anni e più con tronchi intrecciati su se stessi da ricordarci un uliveto più che un vigneto, è stata la testimonianza della forza della natura, capace di resistere a un clima torrido e di dare ancora frutti.

Ovviamente le rese sono bassissime, non per nulla il Capitolo Laureto, negroamaro in purezza, Dario Cavallo non lo avrebbe proprio voluto far partecipare alla serata, come vi abbiamo già detto. Quello del 2008 in particolare, coi suoi 19% gradi (sì, avete letto bene, non è un refuso), è letteralmente sparito dal mercato, non esiste più, ne sono rimaste pochissime bottiglie, fra cui le due che abbiamo aperto noi e che gli hanno regalato il titolo di vino emozione.

Vino elegante, malgrado la forza. Frutti neri molto maturi al naso, anche speziato, note minerali. Quasi pastoso in bocca, potente, ma comunque elegante. Sicuramente morbido, con la dolcezza del frutto amplificata da quegli incredibili 19 gradi, mantiene altrettanta freschezza e un piacevole tannino. Da standing ovation.

Dario Cavallo, uno dei proprietari di Mille Una, per noi aveva invece scelto il Tretarante, primitivo in purezza. Anche lui dalle rese altrettanto basse, 15 quintali per ettaro come il Capitolo Laureto, beneficiato dello stress idrico dell’annata che lo ha portato a “soli”17% gradi, delizia il pubblico che si sbizzarrisce coi sentori: dalla marmellata di more al tabacco, persino alla frutta candita, ovviamente improbabile in un rosso, per proseguire poi con una speziatura marcata, pepe nero, e un legno maschio e rude, non quello della vaniglia delle barriques, in cui però ci resta ben 18 mesi. Al gusto ha ovviamente tanto corpo, un tannino ben presente, ma nuovamente è la piacevole morbidezza a strizzare l’occhiolino ai molti presenti che lo hanno portato in finale.

Ma quella è stata un altro capitolo, Laureto per l’appunto!

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