ITALIA-FRANCIA IN ROSSO – 30 GENNAIO 2013

Italia o Francia?

Fra Italia e Francia quella del vino rosso è una sfida infinita disputata peraltro su una scacchiera mondiale, perché le due nazioni si contendono i consumatori su tutti i mercati, con l’Italia spesso e volentieri a inseguire in termini di volumi, che in fatto di esportazioni i cugini d’oltralpe si sono mostrati più bravi e soprattutto sono partiti prima.

Su quali siano invece i vini migliori, è come discutere del sesso degli angeli, si potrebbe andare avanti all’infinito senza per fortuna trovare la risposta, tali e tante sarebbero le argomentazioni a favore degli uni o degli altri, prima ancora di prendere in considerazione il gusto personale di ognuno.

Volendo banalizzare, diciamo che i francesi hanno capito che alcune varietà di uva si adattano meglio a determinati suoli e a determinati territori e hanno dunque dato vita ad alcune grandi regioni vinicole dove si raggiunge l’eccellenza mondiale per quelle specifiche tipologie, come il Pinot Nero in Borgogna, il Syrah nel Rodano o il Cabernet e il Merlot a Bordeaux.

L’Italia invece è unica per l’eccellenza di tantissime varietà autoctone, magari di ridotta area di diffusione, ma di straordinario livello di qualità, che però a volte fanno fatica a raggiungere la notorietà persino nel nostro stesso Paese, figurarsi all’estero.

Non è certo il caso del Barolo, del Brunello, dell’Amarone e del Taurasi, in realtà noti in tutto il mondo e scelti a rappresentare l’Italia nella sfida alla Francia organizzata dalla nostra associazione lo scorso 30 gennaio nell’ambito dei consueti appuntamenti con le degustazioni al Museo del Gusto di Frossasco.

A vestire i panni della nostra Nazionale in “rosso” sono stati selezionati quattro produttori in linea con la nostra visione, cioè la promozione del bere bene alla portata di tutti con la costante ricerca di piccole aziende che danno vita a vini di qualità estrema.

Ecco allora schierati il Barolo Villero 2008 di Giacomo Fenocchio, l’Amarone della Valpolicella Classico 2008 di Lorenzo Begali, il Brunello di Montalcino Riserva 2006 di Tenuta di Sesta e il Taurasi Poliphemo 2008 di Luigi Tecce.

Per la Francia invece, grazie alla collaborazione con l’importatore Sagna che li distribuisce in Italia, tre pezzi da 90 come il Pinot Noir Les Porets Nuits-St-Georges 2008 del Domaine Faiveley dalla Borgogna, lo Chateau de Pez Saint Estephe 2007 da Bordeaux, lo Chateauneuf du Pape Haut Pierre 2010 dell’azienda Delas dal Rodano, a cui abbiamo aggiunto il Loup du Pic Saint-Loup 2005 dello Chateau Puech Haut, dal Languedoc Roussilon.

Inedita la formula proposta per questa nuova serie di appuntamenti, una vera e propria Champions League: i vini vengono versati rigorosamente alla cieca a due alla volta, in sfide da “dentro o fuori”, con la formula dell’eliminazione diretta. La platea è chiamata a scegliere quale dei due bicchieri esprime maggiori emozioni, qualificandolo al turno successivo, fino a determinare i due finalisti e il vincitore.

Naturalmente il risultato è fortemente condizionato dalla sorte che decide il tabellone degli accoppiamenti iniziali delle sfide: se aggiungiamo anche che “eliminare” vini di questo livello è un autentico sacrilegio, ecco che allora lo spirito della classifica finale assume un valore puramente simbolico, avendo in realtà lo scopo di movimentare la degustazione, durante la quale ogni partecipante si sente protagonista attivo.

In ogni caso per dovere di cronaca vi riportiamo che nei quarti di finale l’Amarone di Begali ha prevalso sul bordolese Chateau de Pez, mentre il Brunello di Tenuta di Sesta è stato preferito allo Chateauneuf Haut Pierre. Piuttosto clamorosa poi la vittoria del Loup du Pic sul Barolo di Fenocchio, in una sfida che ha spaccato la platea, così come anche quella del Taurasi di Tecce preferito niente di meno che al Pinot Noir di Faiveley, a mio giudizio uno dei vini più eleganti ed emozionanti della serata.

Platea ancora più divisa in semifinale dove nel derby d’Italia il Brunello ha poi avuto maggior gradimento dell’Amarone, mentre il francese Loup du Pic è stato preferito al Taurasi, che però è salito ugualmente sul gradino più basso del podio, vincendo la sfida per il terzo posto proprio con l’Amarone.

Verdetto invece quasi unanime in finale, dove il Brunello di Tenuta di Sesta ha infine avuto la meglio sul sorprendente francese Loup du Pic.

La bilancia pesa decisamente dalla parte dell’Italia nella sfida ai punti, a conferma che seppure degustando alla cieca e senza condizionamenti di sorta dei relatori, la platea italiana ha comunque preferito il gusto di casa, a cui forse è più abituata, rispetto allo stile francese.

Non è certamente un caso nemmeno il fatto che in finale siano andati i due vini più invecchiati della batteria: 2005 il francese, 2006 la Riserva di Brunello, cioè quelli praticamente più pronti al gusto.

Venendo invece all’analisi delle singole “squadre”, per la Francia avevamo in campo dei veri e propri fuoriclasse, a cominciare dal bordolese Chateau de Pez, della denominazione di Saint Estephe, che nella riclassificazione del 2003 è entrato nei Cru Bourgeois Exceptionnel, quindi fra i migliori vini in assoluto della regione. 45% di cabernet sauvignon, 45% di merlot, si è presentato come ce lo aspettavamo: colore molto intenso e naso ricco di frutti maturi, sentori tostati e speziati, molto rotondo e morbido al gusto, in perfetto stile bordolese, cioè con un prolungato affinamento in barriques, nuove o di primo passaggio. Un vino di grande spessore, che in realtà svilupperà negli anni tutte le sue potenzialità.

Anche lo Chateauneuf du Pape Haute Pierre di Delas non è da meno. Un vino stabilmente intorno ai 90 punti secondo le valutazioni del guru Robert Parker, ottenuto principalmente da grenache e syrah, anche se vi concorrono fino a 13 diversi vitigni, tutti selezionati da vigneti situati in terreni dal suolo molto particolare, che rende unica questa zona. Siamo nel cuore della Francia, la valle del Rodano Meridionale, dove d’estate il clima molto caldo si fa sentire nel conferire potenza e struttura e dove le piante sono battute e forgiate dal Mistral. Vino di colore granato molto scuro, ci ha regalato intense note di frutta matura e di spezie e una beva molto ricca e concentrata, ma la giovane età lo ha reso ancora poco equilibrato.

Persino più “caldo” il Loup du Pic Rouge che arriva da una delle zone più a sud della Francia, il Languedoc, pizzicato fra il clima del Mediterraneo e quello delle vicine montagne: non per nulla è stato scambiato da diversi presenti per aglianico o amarone. Prodotto anch’esso da uve grenache e syrah come lo Chateauneuf, il sorprendente finalista della serata era in effetti nel suo stato di forma massimo essendo un vino del 2005 e di non esagerata evoluzione: ecco allora i sentori di frutta molto matura, la tostatura, il caffè e una notevole morbidezza in bocca che tanto successo hanno ottenuto fra il nostro pubblico. Ma non solo fra loro, visto che secondo la nota Guida Hachette è stato meritevole del classico Coup de Coeur, il riconoscimento con cui vengono segnalati i vini più emozionanti.

E visto che a livello di costo ovviamente è inferiore a tutti gli altri provenienti dalle zone più blasonate della Francia, ecco allora l’invito a guardare con molta attenzione ai grandi vini provenienti dal Languedoc Roussillon, che nel rapporto qualità-prezzo possono davvero sorprendervi.

Chiudiamo il team francese con il Pinot Noir Le Porets Saint Georges del Domaine Faiveley, proveniente da vecchie vigne (30 anni) situate nel cuore della Cote de Nuits, la terra promessa di chi ama i vini rossi di grande fascino, dalle sensazioni uniche. Questo è classificato Premier Cru, meglio ancora sono quelli provenienti dai Grand Cru, però spesso inavvicinabili per i prezzi. Non si sorprenda il lettore per l’eliminazione al primo turno di questo vino, opposto al nostro Taurasi. Gli appassionati ben sanno quanto il Pinot Noir sia il vitigno più intimista, ritroso a concedersi subito e sicuramente ben più difficile da comprendere rispetto ai vini marmellata, quelli dove piacevoli sentori di frutta cotta condizionano non poco il giudizio immediato apparendo estremamente più suadenti. Il Pinot Noir col suo colore scarico ma meraviglioso, ci ha regalato un naso di una finezza ed eleganza unica, con sentori speziati e anche più complessi, ma con anche una piacevole scia di ciliegia e ribes freschi, ritrovata poi anche al gusto, dove la complessa struttura si è in realtà nascosta dietro finezza e eleganza.

E che dire invece del team Italia?

Sono state tutte piacevoli sorprese, o meglio, bisognerebbe dire conferme, trattandosi di vini in realtà premiati col massimo riconoscimento dalle più autorevoli Guide.

Come il Barolo Villero di Giacomo Fenocchio, altro esempio di quei grandi vini che come il Pinot faticano a emergere in questo tipo di confronti: vini per appassionati veri, lontani dai gusti omologati e bisognosi di tempo prima che si possano esprimere al meglio. Un Barolo di un produttore tradizionalista, che lavora con la botte grande e che utilizza le barrique solo per le colmature e le pratiche di cantina. Uno dei posti più belli di Langa, la frazione Bussia di Monforte, ospita la sede dell’azienda da cui si gode un’incredibile vista sulle vigne e che la nostra Sabina ha avuto il piacere di visitare in vista della nostra serata. Una famiglia, quella dei Fenocchio, che fa risalire la propria tradizione viticola alla fine dell’ottocento e che negli ultimi anni ha compiuto grandi passi avanti presentandosi oggi come una delle realtà più interessanti dell’intera denominazione. Un Barolo che al naso ci ha regalato sentori di frutta rossa anche in confettura, viola, spezie, erbe officinali e sottobosco. In bocca è apparso strutturato, sapido e con tannino da vendere. Ancora da tenere qualche anno in cantina, quando darà grandi soddisfazioni agli estimatori del Barolo più classico.

O come il Brunello di Montalcino Riserva di Tenuta di Sesta, ritenuto come già detto in precedenza il vino “emozione” della serata, quello finito sul gradino più alto del podio nella nostra competizione ludica. Un’annata da ricordare il 2006 per la denominazione e che trova nel prodotto di punta della Tenuta di Sesta una meravigliosa espressione. Siamo nella parte meridionale del comune di Montalcino, zona tra le più vocate per la produzione del Brunello, tra vigneti e oliveti. Nel pieno rispetto di questo terroir, nasce questo vino che dopo 48 mesi in botte grande e 6 in bottiglia, viene messo sul mercato. Elegante, straordinario in tutte le sue componenti, dal piacevole color rubino con riflessi granato ai sentori di sottobosco come la mora di gelso e a una nota erbacea. Un tannino piuttosto arrembante ci conferma che pur essendo già validissimo oggi, lo sarà per diversi anni ancora.

Un altro grande vino italiano è l’Amarone della Valpolicella: abbiamo proposto quello di Begali, piccola realtà nel cuore della Valpolicella che produce anche un Cru di Amarone ancora più affermato, il Monte Cà Bianca. Nel giochino finale di individuazione del vino che si aveva nel bicchiere (vinto dalla bravissima Laura) sono stati in molti a riconoscerlo per via dell’imponente nota alcolica, derivata dalle uve sottoposte ad appassimento: dopo un’accurata selezione in vigna nei mesi di settembre ed ottobre l’uva viene lasciata a riposo nei fruttai e vendemmiata solo nel mese di gennaio: tanto alcol, ma anche un corpo decisamente vigoroso, tanta morbidezza e una sensazione quasi di dolcezza che avrebbe dovuto aiutare anche quelli che invece hanno pensato potesse essere uno dei “sudisti”, il Taurasi o il Languedoc. Anche al naso l’Amarone è stato particolarmente suadente, ricordandoci frutti di bosco sottospirito, chiodi di garofano, amaretti, cacao. Non per nulla ha avuto la meglio sul quotatissimo Bordeaux prima di venire stoppato in una semifinale molto aperta da quello che sarebbe stato poi il vino della serata e cioè il Brunello.

Infine non poteva mancare quello straordinario vitigno del sud che è l’aglianico. Abbiamo scelto la zona più classica, l’Irpinia, dove viene prodotto il Taurasi, selezionando il Poliphemo di Luigi Tecce. E siamo riusciti nell’intento di sbaragliare i pensieri della platea: è stato l’unico vino di cui nemmeno uno dei presenti ha saputo individuarne la tipologia, i più hanno pensato che si trattasse di Brunello, ma in realtà è stato detto un po’ di tutto su questo vino, tranne per l’appunto aglianico!

Forse perché trattasi di azienda giovanissima, la prima vendemmia fatta quasi per gioco è del 2000, pur nascendo da una vigna impiantata nel 1930 a Paternopoli. Azienda microscopica, che produce solo 10.000 bottiglie, di cui 4800 e 90 magnum numerati proprio del nostro Poliphemo, “con l’obiettivo di rispettare il più possibile il territorio producendo vini naturali e sinceri” afferma Luigi Tecce. Non utilizza lieviti selezionati, né enzimi, nelle varie fasi della vinificazione non vengono effettuate disacida, chiarifica e filtrazione. La fermentazione avviene in tini di castagno, con 40 giorni di macerazione sulle bucce e ripetute follature manuali. Successivamente riposa 24 mesi in tonneau a cui seguono ancora diversi mesi di affinamento in bottiglia. Il risultato è uno straordinario Taurasi, di estrema complessità al naso con sentori che spaziano dal fruttato al floreale allo speziato, mentre in bocca è perfettamente armonico e rilascia nel lungo finale una precisa nota minerale.

Non sarà salito sul gradino più alto, ma è indubbiamente il vino che ha fatto più parlare di sé.

Da una serata così si esce con una unica grande certezza: non importa che fossero italiani o francesi, l’importante è che siano stati grandi vini e il tutto esaurito sembra averlo confermato!

Max Wine

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