Giro il Calice, 5 Vini da Maglia Rosa

di Massimo Sainato

Secondo una votazione fra 100 giornalisti internazionali l’impresa di Coppi nella famosa tappa dei 5 colli, la Cuneo-Pinerolo del 10 giugno 1949, rimane il momento più alto nella storia del Giro d’Italia.

coverSe a Pinerolo ci sei nato, se anche nel 2019 hai respirato l’aria del Giro d’Italia grazie al patron locale, l’imprenditore Elvio Chiatellino a cui ogni tanto viene voglia di “farsi un Giro o, detta alla francese, un Tour”, se sei alla guida di un’associazione che negli anni si è distinta per gli approcci non convenzionali alle degustazioni di vini, ecco che allora nasce “Giro il Calice”.

Ovvero 5 vini da Maglia Rosa per sottolineare con una degustazione sui generis l’omaggio a Fausto Coppi settant’anni dopo quell’impresa.

girodicalice008Nel gremito salone Passet e alla presenza di due illustri ospiti d’onore come il giornalista e scrittore Beppe Conti e il patron locale del grande ciclismo Elvio Chiatellino, la serata ha avuto un avvio emozionante con le immagini che hanno riproposto le gesta eroiche di quella tappa. Quel giorno aveva soli 6 anni Carlo Gremo, presente in sala e commosso nel risentire la lettura de “Il bambino e il campione”, racconto che lui stesso ha scritto ricordando la Cuneo-Pinerolo. Letture che hanno accompagnato i tratti salienti della serata, diventando incantata poesia grazie alla magistrale interpretazione delle ragazze della Laav (Letture ad alta voce).

moser ridimensPoi tutti in sella per la prima tappa, si va sulle alture di Trento, dove Francesco Moser, cresciuto in una famiglia contadina, una volta smessi i panni del ciclista campione, è tornato alla terra e ha creato prima con il fratello e ora anche con figli e nipoti una cantina di assoluta eccellenza nel contesto del Trento Doc, il Maso Warth, che è anche un Museo del Ciclismo e una deliziosa residenza di vacanza.

Note floreali e mielose, frutta secca, poi una piacevole beva cremosa che apre con suadente dolcezza per poi volutamente lasciare spazio a sfumature minerali nel contesto di una freschezza generale: tutto questo è 51,151, mieloso valzer di bollicine. Vino dedicato al suo bottiglia ridimensrecord dell’ora, è uno spumante Metodo Classico ottenuto da sole uve chardonnay coltivate nell’area di Palù di Giovo in Val di Cembra: una bollicina con la quale i Moser conquistano l’ennesima Maglia Rosa di famiglia grazie a una ricercatezza produttiva che non è frutto solo della qualità delle uve coltivate, ma deriva anche dalle sfumature di una vinificazione che dà spazio a un leggero affinamento in legno prima della rifermentazione (solo il 10% del vino base e comunque in botte grande) e a una lunga sosta sui lieviti di almeno 30 mesi.

Nel frattempo Beppe Conti che a Moser è legato da profonda amicizia e ne ha seguito tutte le imprese come inviato speciale, ci delizia con aneddoti sul campione e sulla storica rivalità con Beppe Saronni, sulla quale ha anche scritto un libro, intitolato “Duello Infinito”.

Se Moser non è mai stato corridore da corse a tappe, al punto da conquistare una sola volta il Giro d’Italia, rimane pur sempre il ciclista italiano con il maggior numero di successi e adesso è anche grande interprete del mondo del vino: più che logica quindi la sua presenza, quasi a prendersi la rivincita a Pinerolo su Beppe Saronni, che invece su quel traguardo si aggiudicò in volata la riedizione del tappone dei 5 Colli nel Giro d’Italia del 1982.

La seconda tappa è invece un omaggio al Rosa del Giro d’Italia: 102 edizioni di Amore Infinito sulle strade di tutta Italia perchè Beppe Conti ci ricorda che “Il Giro è come il Festival di Sanremo, un fenomeno sociale del nostro Paese”. E ripercorrendo la storia di quali siano state le Maglie Rosa più emozionanti, ecco che anche il bicchiere si colora di girodicalice014riflessi e sfumature rosa e l’animo si predispone a vivere un brivido fresco: al naso e al palato, con estrema coerenza, arrivano note leggere, profumate, davvero deliziose. Sono quelle del Five Roses Anniversario di Leone de Castris, negroamaro (80%) e malvasia nera (20%) che ci portano in Salento: melone, mango, rosa, anice, sono ben più di un richiamo alla voglia di estate, cantata anche dai Negramaro nel brano che accompagna la degustazione.

Quale altro rosato potevamo accostare alla Maglia Rosa se non quello considerato da anni il più famoso d’Italia, il primo rosè ad essere stato imbottigliato nel nostro Paese già nel IMG_21821943 da “Don Pierino” per gli Alleati Americani, vino che poi è diventato talmente celeberrimo da aver contribuito in maniera determinante alla crescita dell’azienda salentina, divenuta oggi una delle più note cantine italiane nel mondo e non solo più per i vini rosati grazie ai quali aveva conquistato la fama.

A proposito di Rosa Elvio Chiatellino ne approfitta per ribadire che ad Armstrong e Contador lui restituisce le vittorie perchè “conta il verdetto ottenuto sul campo e se ci addentriamo nei discorsi sul doping non ne veniamo più fuori, anche perchè come valutare allora tutti quei grandi che hanno vinto prima che venisse introdotto l’antidoping, a cominciare da Anquetil che rifiutò sempre ogni controllo?

girodicalice016Terza tappa con “Il primo dei più grandi”, così si intitola il libro dedicato da Beppe Conti a Fausto Coppi. E’ il momento tanto atteso del Timorasso Fausto, il vino proclamato pochi giorni fa dalla rivista americana Forbes “miglior bianco d’Italia”. E’ il momento dell’emozione più forte, perchè quel vino lo produce Francesco Bellocchio che di Fausto Coppi ne è il nipote, essendo figlio di Marina Coppi a cui ha voluto dedicare il nome della cantina.

Un “bianco autoctono con l’anima di un rosso, che ricorda le donne di Botero per l’elegante opulenza” così lo descrive Gianni Mura su Repubblica.

fossili ridimensTerreni calcarei ricchi di fossili – non per nulla l’era geologica definita Tortoniana trae il nome proprio da queste colline e il paese limitrofo a Castellania, il paese di Coppi, si chiama S. Agata Fossili; un vitigno, seppur raro e poco noto, fra i più importanti che il Piemonte possa vantare; una attenzione quasi maniacale alle tecniche colturali (praticamente in regime bio); una scelta ben precisa di vinificazione che avviene esclusivamente in acciaio, con una sosta di 9 mesi sulle fecce e poi ben 18 mesi in bottiglia, che è il “miglior contenitore per mantenere integre le caratteristiche di un prodotto quando è ancora vivace” dice Bellocchio.

Le note agrumate, i profumi di fiori bianchi, ben presto lasciano campo alle complessità minerali, a sentori di idrocarburi riconducibili solo ad alcuni grandi vini bianchi stranieri come i Riesling o i Pouilly Fumè. Il palato è una trama fitta, c’è struttura, calore, lunghezza, ma soprattutto eleganza, morbidezza, inaspettate in un bianco che non tocca il legno.

Un vino e una storia che ci fanno pensare che il dna del campionissimo sia ben presentecantina ridimens anche nel nipote, che con la medesima caparbietà e determinazione del nonno ha saputo raggiungere il successo seppure in un settore completamente diverso. Un vino che ci fa dire di nuovo “un uomo solo al comando” e che non deve il prestigio al nome a cui è legato, quasi come se Francesco Bellocchio a un certo punto della sua vita avesse voluto dimostrare al mondo di non essere solo “il nipote di”, con la sua coraggiosa scelta ad inizio anni Duemila di lasciare la comoda vita della grande città (Milano) e del lavoro in ufficio per dare vita a un progetto solo suo e della moglie Anna.

bellocchio ridimensFa tutto praticamente da solo, dal lavoro nei vigneti alla cantina, “perchè non sono fatto per stare dietro a una scrivania”, mi dice scendendo dal trattore su cui l’ho trovato quando qualche giorno fa sono andato a trovarlo in cantina per ritirare le bottiglie della serata.

Paradosso vuole che malgrado il successo del Timorasso la produzione principale nel Tortonese resti quella dei vini rossi, in primis la barbera e anche Vigne Marina Coppi si adegua al contesto, pur con una produzione complessiva davvero artigianale, solo 25.000 bottiglie fra bianchi e rossi, numeri da serata classica di Viva il Vino!

girodicalice001A parlare di Fausto Coppi ciclista e uomo non basterebbe una serata, quindi aldilà di qualche aneddoto l’occasione è invece propizia per un divertente siparietto fra i due ospiti, perchè se per Beppe Conti il primo dei più grandi è appunto il campionissimo, per Elvio Chiatellino in cima alla classifica ci sta invece Eddy Merckx. Ognuno difende coi denti la propria idea, “ne discuto da sempre con l’amico Beppe” dice Chiatellino, che alla fine però ammette: “Il mio maestro è lui“.

E d’altronde i dualismi da sempre hanno dato vivacità al mondo del ciclismo, ma non solo, perchè anche gli appassionati di vino non scherzano quando si tratta di mettersi a discutere sulla classifica dei più grandi.

girodicalice023Ecco perchè la quarta e la quinta tappa sono state proposte in parallelo, con la degustazione – questa volta alla cieca – dei due vini rossi protagonisti del più classico fra i dualismi italiani in tema di vino: Barolo e Brunello, Piemonte e Toscana.

E la platea nel voto per alzata di mano si divide, ma poi come spesso succede nelle nostre serate la vittoria va al vino fuori Regione e quindi in questo caso a “Bartali”, che stacca (non certo però di 12 minuti) “Coppi”, arrivando primo sul traguardo di Pinerolo.

Chissà cosa avrebbero detto i due principali protagonisti di quella tappa, Bartali e Coppi, quel giorno, a sapere che 70 anni dopo si sarebbero “ritrovati” a rivivere la sfida nel salone del Veloce Club  che nel 1949 vide l’organizzazione della Cuneo-Pinerolo, indossando questa volta i panni di due vini?I-duelli-epici-nel-ciclismo-607x330

Con le loro personalità così diverse è quasi automatico pensare che Bartali, il toscanaccio  verace, possa essere un Brunello di Montalcino, mentre il più riservato e austero piemontese Coppi faccia pensare al Barolo. Sarà pura suggestione (o follia), ma è quanto poi abbiamo davvero riscontrato nel bicchiere: entrambi vini eleganti, entrambi vini di gran classe, ma più aperto, più diretto, più piacione il “Bartali”, mentre più bisognoso di tempo, più austero, più vino understement il “Coppi”.

bdm-pcloNei panni di Bartali c’era il Brunello di Ciacci Piccolomini d’Aragona, magistrale interprete della zona a sud-est di Montalcino, quella di Castelnuovo dell’Abate, a poche centinaia di metri dall’incantevole Abbazia di Sant’Antimo.

Qui le temperature più elevate, meno piogge, terreni più aridi, viti più rustiche, contribuiscono ad ottenere un Brunello più robusto, più caldo e quindi anche più pronto rispetto a quelli delle altre zone. Lo stile è quello classico: vinificazione in vasche di acciaio e cemento, maturazione di almeno 24 mesi in botti da 20 hl a 75 hl e infine 8 mesi in bottiglia.

Il Brunello di Paolo Bianchini e di sua sorella Lucia è quello che si può definire semplicemente un grande vino: profumi intensi non solo di marasca, ma anche di tabacco e caffè, in bocca è estremamente caldo e morbido, mentre la freschezza e i tannini in evoluzione che comunque ci sono, sanno stare al loro posto senza prevaricazione. La scia finale mentolata aumenta la voglia di sorsi successivi e in un amen il Brunello svanisce dal bicchiere: peccato!

museo ridimensPaolo Bianchini al ciclismo è legato da una passione pari a quella del vino, ha corso da dilettante arrivando a un passo dal professionismo, ora ha creato un team che fra le altre cose non si perde un’edizione della Eroica di Montalcino, in cantina ha dato vita a un Museo del Ciclismo di grande valore, con bici, cimeli e maglie storiche di grandi campioni del passato, molti dei quali sono anche grandi amici, come per esempio proprio Francesco Moser. Ha dato vita al progetto Brunello Bike, che prevede non solo la visita al Museo, ma anche una visita della cantina con annessa degustazione e anche un’area riservata con doccia e servizi, a disposizione di tutti gli appassionati che vanno a pedalare sulle polverose strade della Eroica di Montalcino.

Chi meglio del suo vino poteva quindi interpretare Bartali?

Coppi invece lo abbiamo fatto fare al Barolo Lecinquevigne di Damilano, intanto Valmora-sponsor-giro-dItalia-2perchè il Barolo è indubbiamente il Coppi dei Vini italiani e poi perchè i Damilano, nota famiglia di imprenditori piemontesi, proprietari di una delle più storiche e famose cantine di La Morra, da quest’anno sono diventati anche sponsor ufficiale del Giro d’Italia attraverso l’acqua minerale Valmora, acqua ufficiale del Giro.

Lecinquevigne è frutto di vigneti collocati in 5 diversi comuni della denominazione e non ha quindi le caratteristiche di un singolo cru (a differenza degli altri Barolo dei Damilano), ma è un ottimo testimonial dell’intero terroir di Langa, di cui segue la tradizione con una vinificazione in acciaio e una maturazione di due anni in botti grandi, con un successivo affinamento di un anno in bottiglia.

cinquevv-819x1024Il risultato è quello che ci si aspetta dal più nobile dei vini italiani: eleganza nei profumi, dove le note di viola si intercalano con i più evoluti sentori di cuoio e tabacco, un sapore avvolgente con gusto lungo e persistente, ma con una freschezza e un tannino che se da una parte ci garantiranno un vino ancora più straordinario lasciandolo ad aprirsi nel bicchiere o meglio ancora a riposare per ancora qualche anno in cantina, nell’istante invece lo rendono più austero del Brunello.

Alla fine la liason fra ciclismo e vino è stata tutt’altro che forzata, il commento sui social di Valeria, una delle partecipanti, ci rinfranca: “Bella serata. Vini di altissimo livello, storie di uomini che a loro modo hanno fatto la storia ed emozioni di uomini e donne che la storia la vogliono ricordare e vivere sempre”.

E mentre si esce, con l’ultima lettura tratta da “Giuro che non avrò più fame” di Aldo girodicalice003Cazzullo e poi sulle note degli Stadio con “E mi alzo sui pedali” dedicate al Pirata Marco Pantani, approfittando della mezza promessa di Elvio Chiatellino: “Magari un Giro mi viene ancora voglia di farlo”, viene anche a me da fare una mezza promessa: magari un altro Giro di Calice mi viene ancora di pensarlo!

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