Emozioni di una notte di mezza estate – 18 luglio 2013

E’ stato un momento che avremmo voluto prolungare all’infinito quello in cui una sala intera di quasi 100 persone stava seguendo con aria rapita l’interpretazione fiabesca dell’arpa celtica dell’artista francese Anne Gaelle Cuif, assaporando nello stesso tempo il vino nel bicchiere, in una sala colorata di rosso e tremolanti candele.

E’ stato il momento in cui abbiamo constatato che il titolo della serata, Emozioni di una notte di mezza estate, da semplice slogan promozionale era diventato realtà.

Da quando Viva il Vino è nata, una sola parola ricorre a ogni nostro appuntamento, emozione. Ma passare dalla formula delle nostre oramai collaudate serate di approfondimento per un gruppo limitato di astanti – incontri comunque mai tecnici perché non siamo rabdomanti in cerca di anice stellato e goudron, ma umili appassionati desiderosi di raccontare l’Italia delle eccellenze del vino attraverso i suoi territori e i suoi produttori – a organizzare invece un evento dove avremmo voluto emozionare i presenti attraverso un percorso sensoriale di contaminazioni fra luci, musica, cibo e vino, poteva anche rivelarsi la scommessa persa di un visionario.

Invece a giudicare dal tutto esaurito fatto registrare con tre giorni di anticipo e dall’aria beata con cui il pubblico ha lasciato la serata dopo tre ore abbondanti di spettacolo, può essere che questa nostra curiosità di sperimentazione abbia aperto in taluni una nuova maniera di approcciarsi al vino, che ci darà tante altre soddisfazioni in futuro.

Ed eccoci dunque pronti, per chi c’era e per chi non c’era a svelare cosa abbiamo mangiato e soprattutto cosa abbiamo bevuto, durante la serata “Emozioni di una notte di mezza estate”, trasferita a causa del maltempo dal troppo fresco Giardino all’accogliente Salone del Museo del Gusto di Frossasco.

“Un frizzante Jazz scandirà la follia effervescente della Bollicina nella sua sbocciatura”

Con queste parole Anne Gaelle Cuif, musicista, vocalista e compositrice di Reim, ha voluto presentare il primo vino della serata secondo l’interpretazione della sua musica.

L’artista francese, una delle principali divulgatrici di arpa celtica in Europa, ha accettato con entusiasmo la nostra proposta di contaminazione fra la sua musica e il vino, per creare uno show interattivo fatto di vini degustati, musica ascoltata, assaggi di piatti deliziosi, giochi di luce e un pizzico di convivialità.

 

Altrettanto entusiasmo alla nostra proposta di collaborazione lo avevano messo anche due note food blogger torinesi, La Cucina di Nonna Papera (al secolo Silvia) e Il Gattoghiotto (al secolo Ambra), che sono state le coreografiche esecutrici di un menù molto estivo, fatto di assaggi deliziosi e molto ben presentati nel piatto.

Apertura quindi con un bicchiere quasi cremoso, fine, fragrante, una bollicina da pasto più che da aperitivo come invece l’abbiamo proposta noi, proveniente dall’Alta Langa e precisamente da Treiso, uno dei comuni di riferimento del barbaresco, dove infatti Cantina Rizzi col suo Barbaresco Pajorè nel giro di pochi anni è diventata uno degli indirizzi più sicuri per chi cerca qualità a buon prezzo.

Ma i Dellapiana, proprietari dell’azienda, hanno voluto misurarsi anche con la bollicina e così ecco il Rizzi Extra Brut, mix di chardonnay e pinot noir, con un piccolo tocco di nebbiolo a firmare il terroir, che sta 36 mesi sui lieviti e di cui noi abbiamo potuto apprezzare alcune delle 1.500 bottiglie che rappresentano al momento questa piccola produzione, giunta soltanto alla sua seconda annata in commercio.

Volutamente bassissimo il dosaggio (2 gr. zucchero/litro) per lasciar parlare il territorio e il vino.

Se il buongiorno si vede dal mattino … 

“Danza col Mare di giovane Luna : sentite l’onda che freme nel calice, una sottile musica inconscia”

Il mare è quello Ligure ed ecco la sala colorarsi di azzurro e riempirsi delle note dell’arpa celtica di Anne Gaelle sul patè di coniglio alla ligure con verdurine confit che abbiamo accompagnato alla perfezione con il Pigato Costadevigne di Massimo Alessandri.

Un vero e proprio vigneron recoltant, azienda che produce 30.000 bottiglie, a Ranzo, provincia di Imperia, vigneti fra cielo e mare.

Ampie note fruttate, ma poi macchia mediterranea e persino spezie, prima di rivelare all’assaggio una sapidità straordinaria, per taluni persino eccessiva e una freschezza marcata, in grado di sgrassare la cremosità del patè.

Vino giovane, lavorato solo in acciaio, che secondo la Guida Slow Wine è uno dei soli due vini liguri meritevoli del riconoscimento di Grande Vino (sono 123 in tutta Italia).

Come giovane è il produttore Massimo Alessandri, 40 anni, splendido interprete del proprio territorio con tutti i suoi vini, fra cui anche Nicol, un passito di Pigato dedicato alla moglie.

Platea comunque disorientata nel dare un territorio a questo vino, così lontano dall’idea di Pigato che possono essersi fatti i piemontesi frequentatori delle spiagge liguri.

“Un intreccio di chiaror armonico tessirà il Suono del Sapore”

Un crescendo di musica e luci, fattesi ora giallo dorato, a introdurre una spettacolare lasagnetta alle zucchine e scamorza affumicata, che abbiamo abbinato a un intreccio di emozioni regalate dal Verdicchio Castello di Jesi Riserva Stefano Antonucci.

Che prima della rimozione della stagnola intorno alle bottiglie ha fatto spaziare per tutta Italia la mente dei presenti nel tentativo di attribuirgli una zona di origine, ammaliati dalla mineralità e dalla speziatura di questo vino che poi si apre a sentori di frutta tropicale.

Ma è il ricco palato dove sapidità e freschezza trovano equilibrio perfetto con una notevole morbidezza a dare conferma che si è di fronte a un Grande Vino e non solo perché ce lo dice la Guida Slow Wine che tale riconoscimento gli ha attribuito.

Un bianco di quelli importanti – che fermenta e affina in barrique – che avrebbe potuto reggere anche secondi piatti di carni bianche.

Ed ecco allora la sorpresa, accompagnata da un’ovazione: signori, avete bevuto un verdicchio, probabilmente il vino più emozionante fra quelli proposti.

Chissà la soddisfazione di Stefano Antonucci, il proprietario di Santa Barbara, 600 mila bottiglie prodotte circa, che in etichetta afferma “Ho sempre avuto la convinzione che il Verdicchio fosse uno dei pochissimi bianchi da potersi esaltare sia nella fermentazione che nell’affinamento in legno”.

Perché con questo suo vino ci dà l’ennesima conferma delle potenzialità di questo territorio, dove il talento di alcuni produttori ha fatto del verdicchio uno dei più grandi vini italiani in assoluto, da invecchiamento, rendendo le Marche la nostra piccola Borgogna.

Altro che l’immaginario collettivo del vino bianco leggerino e sempliciotto nella bottiglia ad anfora.

“Ode à l’Amour en voyage sur les lèvres en baiser…”

Deve ricorrere alla sua lingua, Anne Gaelle e aggiungere anche una straordinaria voce alle fatate note del suo strumento per arrivare al momento magico della serata, quello che abbiamo descritto in apertura, quando la sala per alcuni istanti è sembrata essere in una dimensione davvero lontana da quella terrena.

Un volo di qualche minuto in cui perdere riferimenti spazio-tempo, avvolti dal rosso che ha colorato l’atmosfera e rapiti dal suono che ha introdotto l’ennesima sorpresa, un Sangiovese di Romagna, più tradizionalmente associabile alla mazurka che non all’arpa celtica!

Potente, elegante, equilibrato. Ciliegie, frutti di bosco, ma anche spezie, mineralità, pepe. Morbido, tannino vellutato, lunga acidità.

Si sente la mano di chi sa usare il legno, realizzando un vino ben amalgamato senza le classiche dominanti frutto della barrique.

Questo vino lo avevamo selezionato ritenendolo adatto al nostro piatto, un manzo al sale con salsa aioli e verdure gratinate, che per la particolare tecnica di cottura della carne mantiene una certa succulenza e ha dunque bisogno di venire asciugato dal tannino, mentre la sapidità rilasciata dalla crosta di sale in cui è avvolto in cottura, trova nella morbidezza di questo vino il giusto contraltare.

Tutto perfetto, ma nessuno aveva pensato alla Romagna per la nostra scelta.

E così abbiamo potuto raccontare un’altra bella storia, quella di Stefano Berti, che il Calisto lo produce con sangiovese proveniente da vecchie vigne del ’68, a cui aggiunge un tocco di cabernet sauvignon. Una resa di soli 30 quintali per ettaro, numeri con i quali si può fare emozione più che fatturato.

Un’azienda sulle colline di Forlì che per oltre trent’anni è stata nel limbo di color che son sospesi fra l’agricoltura generalista e la specializzazione, dove si produceva uva insieme a tanta altra frutta e il vino prodotto non rappresentava certo una priorità aziendale.

E’ stato solo per una serie di combinazioni magari nemmeno previste che Stefano Berti si è dedicato sempre più solo al vino e a inizio duemila ha trovato in Michele Satta, uno dei grandi nomi dei vini di Bolgheri, la chiave per credere nel suo territorio e nelle sue capacità di vigneron. Grazie infatti a questa amicizia/collaborazione nel giro di pochi anni ha iniziato a realizzare vini di grande personalità che lo hanno portato a immediati riconoscimenti, facendone uno degli alfieri della qualità estrema di questa zona, tradizionalmente associata all’immagine di vini comuni.

Platea nuovamente compiaciuta per essere stata spiazzata.

“Il Canto dell’Estate risveglia la Memoria addormentata”

Finale in dolcezza, colore ramato nella sala, melodia suadente di Anne Gaelle ad accompagnare un vino dagli aromi straordinariamente intensi di frutta gialla, miele, spezie, pasticceria.

Poi in bocca tanta grassezza ma anche una bella spalla acida.

Un vino che probabilmente ha sovrastato un tantino il dolce, l’abbraccio di crema alla vaniglia e mango curd, di cui però ne ha ripreso diversi sentori gusto olfattivi.

Ma volevamo chiudere la nostra serata di emozioni con una chicca dell’enologia italiana e con la Malvasia di Candia de Il Negrese, l’azienda di Matteo Braga, abbiamo fatto bingo.

Perché all’assaggio di questo vino nessuno avrebbe mai pensato ai Colli Piacentini per la chiusura del nostro viaggio sensoriale e tutti sono rimasti pertanto a bocca aperta ascoltando la storia del metodo di produzione, con appassimento che avviene su teli esposti al sole come si farebbe a Pantelleria, anziché nelle classiche stanze areate e al coperto come è tradizione fare al Nord.

Eppure Matteo Braga non si stupisce del miracolo che compie ogni anno nella sua piccola azienda di Ziano Piacentino con questa uva così ricca di aromi, in un lembo di terra conosciuto per la bonarda e la barbera più che per la malvasia aromatica.

Anche la Malvasia di Braga è un altro dei Grandi Vini d’Italia secondo la Guida Slow Wine, peraltro l’unico di tutta l’Emilia-Romagna ad avere avuto tale riconoscimento.

Per noi è stata la maniera migliore per chiudere la serata (anche se poi Anne Gaelle ci ha ancora deliziato con un paio di pezzi da meditazione, senza abbinamenti), un’esperienza sensoriale così ricca di stimoli e contenuti che ognuno la potrà ricordare per una sfaccettatura diversa, tutte unite però da un solo denominatore comune: EMOZIONE (e questa volta ci sia consentito l’uso del maiuscolo).

Buona estate da VIVA IL VINO

Comments

  1. Bravi ragazzi, davvero buona la prima.
    Ho apprezzato particolarmente l’atmosfera che ha saputo creare questo fantastico strumento, l’arpa celtica, grazie all’eleganza e alla leggerezza di Anne Gaelle.
    Poi i vini, importanti, sorprendenti per originalità, chicche di emozione.
    In ultimo la cucina, fatalmente sovrastata dalle altre componenti della serata.
    Comunque una coraggiosa scommessa, vinta, naturalmente. Non avevo dubbi !

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