Emozioni 2018 in Rosso: il Nord

IMG_6513Di Massimo Sainato

La serata perfetta!

Location elegante, atmosfera friendly, tanta empatia in sala, buffet di qualità e poi loro, i vini emozione, a prendersi meritatamente la scena.

Non poteva esserci inizio migliore nella sede che abbiamo scelto, l’Hotel Barrage di Pinerolo che ha riaperto da pochi giorni il ristorante interno “Le Siepi” con la nuova gestione di Chicco Genovesio, imprenditore del settore e già titolare della famosa “Locanda La Posta” di Cavour e la mano si è vista subito.

Si comincia col primo giro di degustazione alla cieca (quello più importante per la classifica) e due vini prendono nettamente il largo su tutti, l’Amarone Classico di Monte Santoccio e il Pignolo Riserva di Moschioni, tallonati però dal Barbaresco Rizzi.

Insomma, amore a prima vista (o sorso).

Poi il nostro pulmino virtuale, aiutato da una colonna sonora molto “creativa” e dalle immagini che scorrono sul grande schermo ha preso la via del Bresciano, finendo in una delle doc più piccole e sconosciute del nostro Paese, seppur esistente già dal 1968: il Botticino.

pia-della-tesaSpeziato, minerale e con note di frutta sotto spirito, il Pià de La Tesa, costituito da barbera, sangiovese, marzemino e schiava gentile, nasce sulle Prealpi Retiche a ridosso di una delle più importanti cave di marmo italiane, altra scoperta per la platea che ne ignorava l’esistenza.

Probabilmente nessuno aveva mai degustato un Botticino: poterlo fare con quello dell’azienda più importante della denominazione, Noventa Botticino, è stato il miglior battesimo.

Vino che ha colpito per la struttura e il nerbo, figlio di un terroir unico al mondo e della sapiente mano di Alessandra, che porta avanti l’azienda con il marito e con papà Pierangelo ancora ben presente nelle decisioni che contano.

Le sorprese sono continuate con il vino successivo: questa volta non per l’area, perché in tanti avevano pensato al Trentino Alto Adige, quanto per il vitigno.

nusser03aChissà se a Heinrich Mayr Nusser era già capitato di sentirsi dire che il suo Elda è un Pinot Noir!

Ci sono cascati in tanti, per via della delicatezza del colore, dei profumi quasi balsamici e del sorso elegante, ma leggero. Sensazioni opposte al vino precedente.

Molto lo stupore anche nel vedere scorrere sullo schermo immagini di strade industriali anziché i soliti vigneti immersi nel nulla.

Elda, vino da tavola prodotto da vecchi cloni di schiava, è la schiava che non ti aspetti!

Nasce da una coppia diventata in Alto Adige (e non solo) simbolo della resistenza: dalla cementificazione perché il loro Maso Nusserhof è l’ultimo giardino verde in un’area di Bolzano trasformata negli anni in zona industriale, dagli standard perché tutto puoi pensare tranne che questo sia un vino convenzionale, dalla burocrazia perché Heinrich ed Elda preferiscono dedicarsi al vino, all’arte, alla musica anziché alle scartoffie e quindi sono usciti da tutti i disciplinari e dalle denominazione, scegliendo di far classificare i loro vini come “da tavola”.

Vini invece cult, molto noti a chi non segue le convenzioni.

Una macerazione lunga per estrarre il meglio nella vinificazione e poi il tempo: ben due anni e mezzo di lenta maturazione in botte grande, davvero inusuali per un vitigno come la schiava da cui nascono vini piuttosto beverini.

barbaresco rizziDopo due sorprese, ecco arrivare un grande classico: il Barbaresco.

Dal Cru Rizzi, uno dei più estesi e quindi dei più prestigiosi per via delle variazioni di esposizione, altitudine e composizione del terreno.

Un vino perfetto, talmente perfetto da pagare pegno in una serata in cui si è chiamati a votare secondo le proprie emozioni, che – si sa – spesso privilegiano invece gli eccessi e i difetti, perché la virtù della perfezione spaventa l’essere umano.

Così ci è sembrato il Barbaresco di Jole e Enrico Dellapiana, i “ragazzi” che hanno preso le redini di Cantina Rizzi creata da zero oltre 40 anni fa da papà Ernesto, imprenditore che ha avuto il coraggio di lasciare Torino e le attività in città per investire nel sogno di far crescere i figli nel cuore delle Langhe, decidendo di occuparsi delle terre di famiglia.

Una crescita costante sia in quantità (oggi sono 40 ha. per 75.000 bottiglie) sia in qualità visto che i diversi Barbaresco dell’azienda Rizzi sono al top della denominazione.

Vino ancora giovane quello nel bicchiere, figlio della tradizione e della scuola della botte grande (rovere di Slavonia da 50 hl.), nato per durare nel tempo e che ha bisogno di tempo. Non per nulla si è aperto nel corso della serata e alla seconda votazione ha recuperato punti arrivando a un soffio dal secondo posto grazie al quale sarebbe andato in finale.

pignoloA togliergli il pass è stato il quarto vino, di nuovo una sorpresa: Pignolo Riserva.

Chi lo aveva mai degustato il Pignolo fra i presenti?

Difficile pensare al Friuli e ancora di più alla zona dei Colli Orientali, con questo bicchiere in mano.

E invece Michele Moschioni quando a inizio anni ’90 ha preso in mano l’azienda di famiglia, è andato controcorrente dedicandosi esclusivamente ai rossi, per valorizzare i vitigni autoctoni di quel territorio, in una zona fortemente vocata alla produzione di grandi bianchi.

Una scommessa vinta non solo con i soci di Viva il Vino che hanno mandato in finale il suo Pignolo, ma in valore assoluto, perché i vini della sua azienda stanno avendo un grande successo ovunque.

Nel bicchiere ci siamo trovati carattere, potenza, energia, materia concentrata più che liquido. E tannino come se piovesse cacao.

A causarli una resa in vigna da vini passiti (25 q./ha.), una leggera surmaturazione in cassetta dove le uve restano qualche giorno prima di essere vinificate e poi un anno di passaggio in barrique, di cui 70% nuove prima del vero e proprio affinamento.

Il tannino è invece figlio del vitigno probabilmente più tannico che abbiamo mai degustato, ricchissimo di polifenoli e veramente didattico, che non si riesce a levigare nemmeno con la maturazione di altri 4 anni in botte e di un anno in bottiglia.

Un vino destinato a durare all’infinito nel tempo e che giustifica quindi l’elevato prezzo (oltre 40€).

bottigliaFinale di serata con il vino che è stato il più votato a entrambe le tornate ed è risultato quindi Vino Emozione: l’Amarone Classico di Monte Santoccio.

Un naso fantastico, balsamico e con una nota dolciastra, una beva elegante e suadente malgrado l’imponenza strutturale di un vino che raggiunge anche i 16° alcolici.

Hai voglia a dire che i vini nascono in vigna e in cantina devi solo preservare le caratteristiche dell’uva.

Qui la mano di Nicola Ferrari fa la differenza e d’altronde uno che è stato per anni cantiniere di quello che è probabilmente l’Amarone più cult, e cioè Quintarelli, se decide di abbandonare quel posto per coltivare il sogno di farsi il vino in proprio, poi è giusto che abbia il successo che merita, visti i sacrifici a cui è andato incontro per realizzare la cantina.

Un sogno condiviso in tutto e per tutto con la moglie Laura.

Nicola ricerca con attenzione la qualità e la tipicità in una delle denominazioni di maggior fama del nostro Paese, dove è facile cadere nell’ovvio e nel dozzinale.

Lo fa dando grande spazio anche alle uve di solito più snobbate come la Rondinella e la Molinara, che nel suo Amarone invece arrivano al 30%, lo fa impiegando nella maniera corretta il Corvinone (altro 30%), lo fa con una macerazione a freddo di 5-6 giorni che esalta le note fresche del frutto.

Tutte cose che possono apparire scontate, ma non lo sono. A cui poi va ad aggiungersi un affinamento di ben 30 mesi in tonneau di cui metà nuove e metà di secondo passaggio.

Applausi meritati per lui e finale conquistata, anche se poi finita la serata e guardando alle spalle le diverse tipologie di vini e vitigni degustati, ti rendi conto che anche i verdetti di Viva il Vino, sempre alla ricerca di vini e vignaioli di nicchia, talvolta poi premiano le denominazioni e i vini più prevedibili, seppur dopo degustazioni alla cieca e quindi senza condizionamenti di sorta!

Ci si vede a giugno, in scena andranno I Bianchi del Centro

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