Emozioni 2018 in Bianco: il SUD

Articolo di : Massimo Sainato

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Le nostre degustazioni spesso sono anche l’occasione per narrare storie che assomigliano tanto a favole a lieto fine: ci si sente come Alice nel Paese delle meraviglie, discendendo alla scoperta di un’Italia ricca di talenti e tesori nascosti che non vanno in prima pagina, ma che ci aiutano a guardare con occhi diversi un Paese spesso raccontato solo nella sua componente imbruttita.

Questo viaggio a Sud è stato però occasione per rimarcare anche il coraggio che spesso sta alla base delle storie che raccontiamo: perché mentre noi stiamo qui, comodamente seduti a degustare, quei vini che abbiamo nel bicchiere sono frutto di scelte di vita tutt’altro che scontate, che pochi avrebbero il coraggio di fare non solo a parole.

Come Ida e Marco, lei avvocato e lui architetto, che a un certo punto hanno scelto di andare a vivere e a produrre vino su una punta disabitata del Cilento circondati di vigneti a picco sul mare, o come Giovanni che ha lasciato l’Abruzzo dove viveva per andare a recuperare i vigneti abbandonati dei nonni in un angolo nascosto di Calabria.

Il coraggio a volte è anche quello dei figli che decidono di restare anziché andare, come Giuseppe, Benny e Maria Paola, rimasti aggrappati sulle pendici del Vesuvio a continuare il lavoro di nonna Benigna, come Vito e Giuseppe rimasti fra i vigneti della valle d’Itria nelle Murge baresi o come Paolo e Michele, rimasti a Venosa nel cuore della Basilicata: tutti giovani ragazzi che hanno scelto di continuare a portare avanti tradizioni familiari che proseguono da generazioni, senza aver ceduto a differenza di molti coetanei al richiamo di altri luoghi e di altre vite.

Benvenuti al Sud con i vini bianchi, penultima tappa del nostro Giro d’Italia con il VINO EMOZIONE 2018!

IMG_8628 (Copy)Il primo calice del nostro viaggio virtuale ci ha portato fra i vecchi vigneti ad alberello ancora presenti in Valle d’Itria, nel triangolo di campagna fra Locorotondo, Alberobello e Martinafranca, dove hanno origine i grandi vini bianchi di Puglia (pochi a dir la verità).

Fra essi non è passato inosservato alla nostra platea il Maccone, frutto di uve moscato vinificate in secco dalla Cantina Donato Angiuli.

Mimetizzatosi dietro un colore tenue, quasi trasparente come l’acqua, in realtà poi ha sorpreso per la piacevole finezza aromatica con richiami di limone, salvia e altri sentori più balsamici come quelli di una caramella mentolata. Lo stupore è proseguito al palato con un sorso pieno di struttura, con una acidità dirompente a far da contraltare ai 14° gradi alcolici che alla fine rendono la beva del Maccone armoniosa.

Per i nostri soci è lui il Vino Emozione della serata: la suadente aromaticità del moscato combinata con l’acidità e la struttura di un grande bianco evidentemente hanno colpito al cuore i presenti nella degustazione alla cieca, facendo del Maccone il vino più votato.

Un’altra soddisfazione per Donato Angiuli e i suoi figli Vito e Giuseppe a cui da tempo la critica di settore riconosce l’avere dato vita a uno dei migliori vini bianchi di Puglia, con un percorso di crescita guidato dalla passione che li ha indotti ad arrivare oggi ad affittare complessivamente 26 ettari di vigneti (avendone solo 2 di proprietà), dove seguono personalmente quasi tutto il ciclo produttivo per potersi portare in cantina uve dalla qualità indiscutibile.

IMG_8629 (Copy)Con il secondo vino dalla Puglia scendiamo in Calabria, legati dalla caratteristica aromaticità che unisce i due calici.

Scorrono immagini di terra assolata, di natura selvaggia, sullo sfondo un mare blu da cui risale la brezza, quel venticello fresco che tutti i giorni da secoli accarezza i terrazzamenti di Francavilla Angitola, nell’entroterra a pochi chilometri di distanza dalla località turistica di Pizzo Calabro.

Giovanni Benvenuto ha sentito di dover ritornare qui, lui cresciuto in Abruzzo ma con padre originario di questa terra, della quale ha saputo trasmettergli l’attaccamento.

E così, da luogo di vacanze estive, per Giovanni, nel frattempo diventato giovane agronomo specializzato in enologia, Francavilla è diventata scelta di vita, dove mettersi a recuperare i vigneti abbandonati dai nonni, in un’area considerata di eccellenza vinicola già da alcuni scritti del 1500.

Qui la scelta principale è andata su un vitigno quasi scomparso, lo zibibbo di Pizzo, diventato ora, grazie anche al suo meritevole impegno, un Presidio Slow Food.

Uva rara e pregiata, solo parente dello zibibbo di Pantelleria, con la quale Giovanni ha creato il Benvenuto: nel bicchiere si presenta con un bel colore giallo paglierino, dalle suadenti e prorompenti note aromatiche che richiamano gli agrumi, ma anche la mela e la frutta candita e dal quale poi non ti aspetteresti di degustare un vino secco con un sorso così sapido, quasi salino, da far passare in secondo piano l’altrettanto piacevole freschezza e l’importante nota alcolica che lo rende ben equilibrato.

Un vino figlio dei quattro elementi naturali, metafora a cui Giovanni ricorre nel descriverlo, visto che nasce in un luogo sospeso fra mare e cielo, dove un terreno roccioso si combina con l’azione dei venti salini, sotto l’influsso di un “fuoco” che da mattina a sera scalda i terrazzamenti esposti al caldo sole di Calabria.

Emozionante sapere che questo vitigno cresce solo qui e che gli unici a vinificarlo sono proprio le Cantine Benvenuto, esperienza quindi più unica che rara!

IMG_8630 (Copy)Eccoci ora al terzo bicchiere e quindi al terzo viaggio, nuovamente suggestivo.

Innanzitutto perché le immagini ci portano in un’area della Basilicata che è il Vulture, un insieme di terreni vulcanici, di colline ad alta quota, di calore alternato a fresche notti, dove cresce l’aglianico, da cui nasce l’Aglianico del Vulture, non a caso definito “Il Barolo del Sud”.

La sfida emozionante in questo caso è vinificare in bianco un vitigno così potente e strutturato.

Giuseppe Latorraca e i figli Paolo e Michele, entrambi enologi, famiglia di viticoltori da generazioni e proprietari dell’azienda Cantine Madonna delle Grazie, con l’aglianico si dedicano prevalentemente alla produzione di grandi vini rossi di personalità e carattere, nello stile classico della denominazione e con sfumature diverse a seconda delle uve coltivate nelle diverse zone intorno a Venosa.

Tuttavia siccome hanno voluto osare provando a vinificarlo anche in bianco, noi abbiamo scelto di cogliere l’attimo, proponendo nella nostra degustazione il bianco Leuconoe, dal nome che il Poeta Orazio (nato proprio a Venosa) volle dare alla donna del Carpe Diem.

Perché questo vino sembra quasi voler fuggire dalla sua anima presentandosi con un colore quasi d’acqua, per poi manifestarsi invece intenso, ma di fine eleganza sia all’olfatto, sia al gusto, dove la struttura dell’aglianico si sente eccome anche nella versione in bianco, a supportare una solo apparente leggerezza di beva, quella che ci induce ad esclamare Carpe Diem! Finale persistente con piacevole nota amarognola.

IMG_8631 (Copy)Si passa al quarto vino, nuovamente legato da un filo conduttore col precedente, così come già era accaduto per i primi due.

Questa volta il legame è il vulcano: ma se nel caso del Vulture si trattava di una lontanissima origine, ora il Vulcano è con la V maiuscola, essendo il Vesuvio l’unico ancora attivo in Europa continentale.

Non per nulla il vino si chiama Lapillo e nasce su terreni unici al mondo, dove le piante affondano le radici nello scuro suolo sabbioso ricco di lapilli, stratificati dalle molteplici eruzioni, oltretutto proprio sul versante più ricco di colate laviche.

A produrlo a Boscotrecase sono i Sorrentino, una famiglia che da diverse generazioni vive sulle pendìci del Vesuvio, con le vigne a 500 metri d’altezza, dove Paolo insieme alla moglie e ai tre figli Benny, Giuseppe e Maria Paola, tutti coinvolti nell’attività, ha raccolto il testimone di Nonna Benigna che negli anni della 2° Guerra dette l’imprinting attuale attraverso la coltivazione dei vitigni autoctoni caratteristici della zona.

Fra di essi anche l’inconsueto caprettone, sconosciuto ai più, vitigno tipico solo dell’area vesuviana e fino a poco tempo fa confuso con la coda di volpe, che costituisce l’80% del Lapillo a cui va aggiunto un 20% di falanghina.

Una bassa resa (60 q./ha) e un prolungato affinamento sui lieviti (8 mesi) a cui poi segue un anno in bottiglia contribuiscono alla creazione di un vino che al naso appare non così intenso, ma invece delicato ed elegante, sicuramente fra i più complessi ed interessanti della serata sia per l’ampio spettro olfattivo caratterizzato da una non comune mineralità (fra cui si percepisce un marcato e molto apprezzato sentore di tartufo) sia per il gusto strutturato e particolare, ricco di sapidità, ma non solo, come tutti i grandi vini che nascono da terreni vulcanici.

Peraltro Casa Sorrentino è consigliatissima anche come base per un’escursione al Vesuvio e per un soggiorno nell’area napoletana, potendo contare su una casetta per l’ospitalità dislocata proprio nel cuore dei vigneti oltre a una sala degustazione con cucina e vista sul golfo che assomiglia a un vero e proprio ristorante.

IMG_8632 (Copy)Il tempo vola e si arriva all’ultimo vino della serata, per il quale non ci spostiamo di molto perché rimaniamo ancora in Campania.

Il colore dorato lascia ampiamente intendere perché il vino si chiami Aureus, ma in realtà l’aureola intorno al bicchiere è data dalla sontuosità di un olfatto ricco di agrumi, ginestra, miele, macchia mediterranea e da una bevuta piena di struttura, eleganza, sapidità, freschezza, equilibrio: in una parola sola perfetto!

Il fiano da cui nasce l’Aureus si conferma in generale dunque uno dei vitigni bianchi in assoluto più intriganti nel panorama ampelografico italiano, ma qui non è solo merito del vitigno: vigneti a picco sul mare, quasi lambiti dall’acqua e immersi nella macchia mediterranea all’interno del parco naturale del Cilento, fra i comuni di Castellabate e Agropoli; viti che sfiorano i 40 anni di età; un lavoro importante sia in vigna con una resa bassissima (solo 50 q./ha) sia in cantina attraverso la scelta di una maturazione in acciaio sulle fecce che arriva fino a 14 mesi, a cui poi segue ancora un periodo di 7-8 mesi in bottiglia.

E’ una chicca quella che abbiamo degustato, al momento prodotta in sole 1.300 bottiglie, che non sono nient’altro che una parcella del Tresinus, l’altro fiano dell’azienda, a cui con saggezza (e ascoltando i consigli) la coppia di produttori ha deciso di lasciare un anno di affinamento in più.

Già, chi sono i produttori? Sono Mario Corrado e Ida Budetta a cui abbiamo accennato già in apertura, coraggiosi nella decisione di andare controcorrente ed abbandonare la città e professioni prestigiose per coltivare la terra dove era stata abbandonata, contribuendo a mantenere l’ambiente vivo, con la creazione dell’azienda agricola San Giovanni.

Punta Tresino è un paradiso nel nulla, abbandonato 50 anni fa quasi da tutti a causa delle scomodità (strade, luce, telefono, etc). Il padre di Mario, avvocato di Salerno, quando decise di farlo suo per avere un “buen retiro” per le vacanze dove produrre anche un po’ di olio e vino per sé, non avrebbe probabilmente immaginato che un giorno suo figlio architetto vi sarebbe potuto andare a vivere in pianta stabile con la compagna per diventare vignaiolo di professione.

E invece da oramai 18 anni Ida e Mario sono riusciti a realizzare il loro sogno di vivere e crescere i loro pargoli in un posto troppo bello per non restarci, seppur lontano da tutto e dove fino a 6 anni fa la corrente era prodotta con dei gruppi elettrogeni.

Le incantevoli immagini dei tramonti (e non solo) di Punta Tresino che scorrono sullo schermo accompagnate dalle note del jazzista Fabrizio Bosso nella colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso lasciano la sala in silenzio, con probabilmente un unico pensiero nella mente di tutti, quello di voler trascorrere prima o poi qualche giorno in Paradiso visto che a San Giovanni Ida e Mario hanno anche restaurato alcuni antichi casali dove ora si può trovare ospitalità.

Per intanto anche l’Aureus ha staccato il biglietto per la finale di Vino Emozione 2018, seppure battuto di un soffio dal Maccone, il sorprendente moscato secco.

Ed ora tutti pronti per i Rossi del Sud in programma il 28 novembre all’Hotel Barrage, ultimo atto prima della finale

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