Francia e Italia, bollicine al Top – 26 giugno 2013

Parlando di bollicine, in particolare di metodo classico, il solo fatto che in Champagne se ne producono qualcosa come 300 milioni di bottiglie a fronte dei 23 milioni di bottiglie italiane, dovrebbe bastare ad evitare qualsiasi sterile discussione campanilistica su chi fa meglio cosa.

Oltre al fatto che l’unicità del terroir della regione francese non può essere clonata altrove, in particolare per quel che riguarda le caratteristiche gessose del terreno (la famosa craie, 300 metri di profondità di roccia, la stessa che dà vita anche alle bianche scogliere di Dover), del clima e delle uve, il pinot noir, il pinot meunier e lo chardonnay.

E tantomeno si possono annullare gli oltre 300 anni di storia durante i quali in Champagne si sono sviluppate ed evolute le attuali tecniche di coltura e di spumantizzazione dei vini, il cosiddetto metodo champenoise, applicato poi in tutto il mondo, e da noi in Italia conosciuto con il nome di metodo classico.

Questa premessa è doverosa prima che qualcuno possa pensare che il fine della nostra serata “Italia-Francia in bollicina” avesse invece l’ardire di voler dimostrare il contrario e cioè che “quella roba lì se la bevano i francesi” perché magari noi siamo più bravi.

Ora, vero che la boria dei cugini d’Oltralpe è spesso fastidiosa, ma l’onestà intellettuale ci deve portare a riconoscere che in fatto di bollicine la sfida proprio non esiste, perché lo champagne rimane unico aldilà della oggettiva piacevolezza di alcuni vini spumanti italici.

Siccome il nostro programma del 2013 è comunque fatto di “sfide”, il significato dell’appuntamento con spumanti e champagne e di queste poche righe di racconto è invece quello di presentare la qualità ai massimi livelli, a prescindere dal Paese di provenienza e aldilà della riconoscibile differenza di prodotto fra Italia e Francia (che comunque qualche sorpresa ha dato, come leggerete più avanti).

Chissà se siamo riusciti nel nostro intento. Certo l’interesse che ha suscitato questo evento, al punto da costringerci a dire no a malincuore a tante richieste di partecipazione per mancanza di sufficienti bottiglie, conferma che perlomeno per gli appassionati la bollicina non è solo il vino della festa con cui aprire o chiudere il pasto, non è il vino caro bevuto dai ricchi per il gusto di apparire, ma, per dirla alla Scanzi, è il punto G della degustazione (uh).

Sarà per via dell’inebriante euforia che bollicine di questo livello hanno saputo trasmettere con quella loro raffinata pungenza sulle papille gustative, che a volte sembra farsi carezza, sarà perché il mito che le accompagna ne ha così amplificato la fama da suscitare nel nostro pubblico e in generale nell’immaginario collettivo molto più fascino di qualsiasi altro tema che abbiamo fin qui proposto.

Tre ore abbondanti di full immersion da cui ne siamo usciti con un approfondito ripasso della storia e delle tecniche del Metodo Champenois e un rapido excursus virtuale alla scoperta dei territori intorno a Reims ed Epernay, ma anche della Franciacorta e della Trento doc, ma soprattutto con la degustazione di sei straordinari vini in grado di svelare in una sola serata quasi tutto quello che c’è da sapere in fatto di bollicine al top.

A cominciare dalle diverse zone e dai diversi assemblaggi di vitigni: il V.P. Grand Cru di Egly-Ouriet, distribuito in Italia dalla Moon Import di Pepi Mongiardino, proviene infatti dalle Montagne de Reims, da vigneti situati nei villaggi più famosi (Ambonnay, Bouzy, Verzenay e Vrigny), ha un assemblaggio quasi alla pari fra pinot noir (60%) e chardonnay (40%) ed è arrivato alla nostra degustazione dopo ben 75 mesi di affinamento sulle fecce. In più è un’azienda che rappresenta al meglio l’universo dei tanti Recoltant-Manipulant, cioè quei 5.000 piccoli viticoltori che coltivano pochi ettari (in questo caso 11,5) e che producono direttamente qualche migliaio di bottiglie (per Egly siamo intorno alle 50.000) anziché vendere direttamente le uve alle grandi Maison conosciute in tutto il mondo, meno di 300 aziende che commercializzano oltre il 70% dei 300 milioni di bottiglie prodotte ogni anno da queste parti.

Uno champagne fra i migliori che ci sia capitato di assaggiare, anche perché appartiene a quella fascia di prezzo (80 € circa) nella quale tanti assaggi non capita di fare ai comuni mortali.

E’ la conferma di quanto i Grand Cru sanno invecchiare, un vino che non si lascia inquadrare nello stereotipo degli champagne delle grandi Maison, perfettini, uguali ogni anno, costruiti.

Qui allo scalpitare del Pinot di razza si aggiunge l’eleganza dello chardonnay, ma anche pianta e terreno si ritrovano nel vino, frutto di vecchie vigne: mineralità da vendere al gusto insieme ai sentori più tipici di uno champagne dal lungo invecchiamento, dalla crosta di pane al cedro candito, un tocco di idrocarburi, ma anche caramello e una evidente nota evocativa dei distillati, qualcuno dice grappa, altri cognac. Sarà mica la “firma” del liquer de expedition forse fin troppo marcata?

Uno champagne assolutamente non facile, come confermerà anche il verdetto della sfida.

A proposito delle grandi Maison, a rappresentarle abbiamo chiamato Philipponat, altra etichetta distribuita in Italia dalla Moon Import, blasonato Negociant-Manipulant che produce oltre 600.000 bottiglie e che ci ha consentito di presentare la seconda zona importante della regione: la Cotes de Blanc, quella dove – come dice il nome stesso – si coltiva soprattutto chardonnay.

Lo champagne che abbiamo scelto, il Grand Blanc Millesimato 2005, è un Grand Cru frutto di sola uva bianca (i cosiddetti Blanc de Blancs) proveniente dai sei più pregiati villaggi (Avize, Cramant, Oger, Chouilly, Vertus e Grauves).

Innegabile che la finezza e l’eleganza dello chardonnay sono inarrivabili, questa bottiglia ne è la testimonianza concreta dal momento che ha sedotto ampiamente la platea con un bouquet di tostato e limone, burro e crema, zenzero e vaniglia, ma soprattutto con una grande cremosità in bocca, morbido e di agrumata freschezza.

La terza e ultima zona importante della regione è quella della Vallèe de la Marne, lungo l’omonimo fiume, per la quale abbiamo nuovamente selezionato un piccolo Proprietaire-Recoltant, Leblond, distribuito in Italia da MF Stars di Torino, che con il suo Brut Emotion, Premier Cru, ci ha svelato le caratteristiche tipiche di uno champagne ottenuto da sole uve Pinot Noir (i cosiddetti Blanc de Noirs). 

Il Leblond in degustazione era una vendemmia 2009, quindi con una permanenza sulle fecce e sui lieviti decisamente inferiore rispetto agli altri due champagne citati.

Che si è fatta sentire, oltre alla chiara differenza di uno champagne ottenuto da sole uve rosse: il colore è quello più dorato fra tutti, naso più fruttato rispetto ai precedenti, sentori di frutta fresca, agrumi e mandorla, molto minerale ed erbaceo e una beva strutturata, ricca di acidità e sapidità che fanno prevalere le durezze, con una piacevole persistenza aromatica finale. Meno elegante rispetto ai due precedenti.

Queste tre bottiglie chiamate a vestire i panni del Team Francia, ci hanno dunque offerto uno spettro veramente a 360° delle tante sfaccettature che in realtà si possono avere in tema di champagne.

Per il Team Italia invece gli ambasciatori non potevano che provenire dalle due aree in assoluto di maggior qualità, Franciacorta e Trento, per quanto abbiamo voluto evidenziare come l’unicità italiana sta forse nel produrre metodo classico praticamente in tutte le regioni e con i vitigni autoctoni più disparati (ne abbiamo individuati ben 34, dal valdostano Priè Blanc al siciliano Nerello Mascalese) e pur riconoscendo anche ad altre zone come l’Oltrepo Pavese e l’Alta Langa un ruolo di primo piano nel panorama del metodo classico del nostro Paese.

In Franciacorta abbiamo scelto la tradizione familiare dei Bersi Serlini, che dal 1970 producono spumante nei 35 ettari di proprietà a Provaglio d’Iseo. Un impegno quotidiano anche per la promozione della Docg (la figlia Maddalena è attualmente vice-presidente del Consorzio Vini di Franciacorta) e 200.000 bottiglie circa prodotte, a forte prevalenza di chardonnay, per conferire alle bollicine quell’eleganza e finezza che solo i Blanc de Blancs possono dare.

Come l’Extra Brut 2004 che abbiamo selezionato, 70% chardonnay e 30% pinot bianco, ben sette anni di permanenza sui lieviti, che tuttavia non hanno marcato in maniera così netta i sentori di questa bottiglia, come ci saremmo aspettati. Quindi ecco piacevoli sentori di agrumi, burro, ananas sciroppato, vaniglia, una nota fragrante di lieviti e una cremosa effervescenza in bocca con una scia agrumata amarognola finale. Uno spumante assolutamente giovane e fresco a dispetto dei nove anni di vita, chapeau!

Sempre dalla Franciacorta arriva anche la seconda bottiglia, in questo caso un assemblaggio al 50% fra chardonnay e pinot noir, un millesimato del 2008, rimasto dunque quattro anni a maturare sui lieviti. Si tratta dell’Extra Brut di Ricci Curbastro, altra realtà fra le più blasonate di questa docg, oltre 200.000 bottiglie prodotte dai vigneti situati fra Capriolo e Iseo. Curiosità: il 20% circa delle uve con cui si produce questo vino viene fermentata in carati di rovere anziché in acciaio.

Un colore più dorato rispetto al precedente per via del Pinot, una discreta mineralità a integrarsi con la tostatura del pane in crosta, della mandorla, del burro, della vaniglia, della rosa, della liquirizia. Una bocca quasi da manuale, fine ed elegante, in perfetto bilanciamento fra la esagerata cremosità e morbidezza dello chardonnay e l’acidità e struttura del pinot noir, a cui vanno a sommarsi anche sapidità e mineralità frutto del terreno.

A chiudere la proposta italica non poteva che esserci un ambasciatore del Trentino: la scelta è andata su Maso Martis, piccola ma affermata realtà di Antonio Stelzer (60.000 bottiglie circa), che dagli anni ’80 in poco tempo ha saputo raggiungere l’eccellenza produttiva in fatto di spumante. Abbiamo proposto il Brut Riserva 2006, un millesimato a prevalenza pinot noir (70%), ma comunque con un significativo 30% di chardonnay a fare da spalla. Anche in questo caso una parte del vino affina in barriques dopo la fermentazione in acciaio e prima dell’imbottigliamento e della rifermentazione, dove rimane sui lieviti per ben 60 mesi.

Colore dorato, le note morbide vanigliate vengono presto soppiantate da una complessità fatta di note erbacee o speziate come il curry e lo zafferano, agrumi come il lime e note tostate di biscotto e lieviti che qualcuno giudica persino troppo marcate. Sapido ma anche cremoso al gusto, un finale ammandorlato e fumè, quasi amarognolo. Non così “pinot” come in realtà sarebbe…

Venendo alla parte ludica della serata, le tre sfide incrociate fra Italia e Francia, avvenute accoppiando spumanti e champagne in base alle caratteristiche similari dei vitigni, hanno chiamato la platea a esprimere il proprio giudizio, valutando i vini (serviti alla cieca) esclusivamente in base alle personali emozioni che ogni bicchiere ha espresso in quell’istante.

E così in finale ci sono andati il Grand Blanc di Philipponat che si è imposto col verdetto più netto della serata sull’Extra Brut Riserva di Bersi Serlini nella sfida di “stile chardonnay”, e il Leblond che invece ha superato davvero per un’inezia il Maso Martis nella sfida di “stile pinot noir”: platea spaccata esattamente a metà e per fortuna eravamo in numero dispari, altrimenti si sarebbe dovuto sorteggiare il vincitore!

Terzo finalista a sorpresa l’Extra Brut di Ricci Curbastro che nella sfida delle bollicine frutto di assemblaggi quasi uguali fra chardonnay e pinot noir è stato preferito nientedimeno che allo champagne più costoso e famoso della serata, il V.P. Grand Cru di Egly-Ouriet!

Seconda tornata di degustazione per definire la scaletta del podio e qui ancor di più è emersa la preferenza della nostra platea al gusto più “facile” dello champagne: quello elegante al naso e cremoso al gusto, frutto dello chardonnay rispetto invece alla maggiore complessità strutturale di quelli prodotti con prevalenza di pinot noir.

Ecco che allora una pioggia di consensi è finita sul Grand Blanc di Philipponat, considerato a gran maggioranza il vino emozione della nostra serata, davvero perfettino per quello che ci si aspetta mediamente da uno champagne: colore oro, bollicina finissima, naso che spazia dal burro, all’acacia, al biancospino, alla crosta di pane, cremosità allo stato puro in bocca.

Praticamente alla pari invece gli altri due finalisti: l’Extra Brut di Ricci Curbastro a tenere altissimo l’onore dell’Italia con la conquista della medaglia d’argento, di un soffio sull’Emotion di Leblond, finito sul gradino più basso del podio.

Infine, intervallati alle proposte gastronomiche della nostra chef Vale che ha deliziato i palati con abbinamenti perfetti per le bollicine quali blini di creme-fraiche e salmone, frittatine alla salvia e pomodori secchi, crostini caldi di lardo, insalata di riso ai gamberetti e barchette di gorgonzola e pere, abbiamo potuto dedicarci a una ulteriore degustazione più approfondita di ognuna delle sei bollicine. 

Passando dall’emozione alla razionalità e prima di svelare vini e produttori, è comunque emerso come non per tutti sia stato così semplice distinguere champagne e spumanti: se è vero che i più smaliziati hanno fatto en-plein identificando senza problemi la provenienza (Ita o Fra) di tutti e sei i vini (il solito Carlo ha fatto di più, indovinando anche ben 4 assemblaggi su 6), c’è anche da dire che complessivamente solo il 64% delle risposte è risultato esatto.

Secondo voi: poco o tanto per poter affermare che le bollicine italiane e francesi sono così diverse da non generare equivoci?

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