AUTOCTONI in autunno

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I vitigni autoctoni costituiscono la diversità biologica (biodiversità) di un territorio viticolo. Le precedenti generazioni hanno conservato e ci hanno tramandato questo patrimonio; è nostro dovere tutelarlo, riprodurlo, diffonderlo perché elemento fondante della cultura rurale del nostro territorio”.

Partendo da questo inciso che Viva il Vino ha fatto suo, nel calendario delle serate degustazioni dell’anno trova sempre spazio un incontro specifico ad approfondire il tema, aldilà dei costanti inserimenti di vitigni autoctoni nelle degustazioni che avvengono nel corso degli altri appuntamenti.

D’altronde con più di 300 vitigni autoctoni, l’Italia è davvero un Paese unico nella sua biodiversità, che merita di essere scoperto.

IMG_9206Così dopo la degustazione della Rebola, del Bellone, del Pallagrello, del Tintore e della Tintilia nella serata 2014, eccoci a raccontare l’appuntamento del 2015, andato in scena lo scorso 14 ottobre, quasi un’anteprima di Autochtona, la Fiera dedicata agli autoctoni svoltasi a Bolzano la settimana successiva.

Sette vini da scoprire per i nostri soci, in un viaggio attraverso l’Italia fatto di singole tappe di degustazione, viste le caratteristiche molto diverse di ogni vino selezionato.

IMG_9219Con una partenza che probabilmente ha disorientato la nostra platea: una bollicina inebriante di petali di rosa e piccoli frutti rossi come ciliegia e lampone che non ti aspetti, dalla pungenza delicata e un finale amarognolo. Il Dudes di Vittorio Adriano nasce dalla freisa, vitigno autoctono certo non sconosciuto ai presenti per questioni territoriali essendo caratteristico delle colline torinesi, con estensioni anche al Monferrato e alle Langhe, come in questo caso, visto che a produrlo è uno dei grandi interpreti del Barbaresco, a San Rocco Seno d’Elvio, frazione di Alba.

Sicuramente inusuale è invece lo stile di vinificazione per questo vitigno: un metodo charmat dal bel colore rosato, senza grandi complessità, perfetto per una merenda, un aperitivo e per aprire la nostra serata, rompendo gli indugi dei primi minuti. Solo alcune immagini proiettate in un secondo tempo hanno infatti portato a pensare al Piemonte, non certo quanto emerso dal bicchiere.

La seconda tappa è quasi da pernottamento con prima colazione, per quanto tempo dura la discussione a commento del vino!

Di nuovo una bollicina, ma questa volta i sentori di lieviti e di aromi terziari la fanno da padrone: il fatto che sia un metodo classico particolarmente complesso è chiaro a tutti fin da subito, ma qualcuno si spinge oltre affermando che c’è un ottimo vino base di partenza.

Certo, scoprire che il vitigno autoctono è un nebbiolo, sorprende sia perché non ti aspetti una bollicina di tale livello da un nebbiolo, sia perché alla serata autoctoni non ti aspetti un nebbiolo, secondo alcuni nemmeno così autoctono visto che poi oltre che in Langa lo si trova anche nell’alto Piemonte e in Valtellina.

D’altronde avendo abituato il nostro pubblico a vitigni autoctoni talvolta noti solo al viticoltore e ai suoi vicini di casa, l’interpretazione ci può stare!

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Ma il Nebbione Na Punta in degustazione è quasi un’anteprima mondiale, vino entrato in commercio per la prima volta tre giorni prima della nostra serata.

Un progetto ideato e voluto dall’enologo Sergio Molino che già diversi anni fa ha individuato caratteristiche particolari nella punta del grappolo di nebbiolo (molto acido malico), inducendo molti produttori a un taglio sulla pianta per migliorare ulteriormente la qualità del grappolo (uno fra i primi il grandissimo Roberto Voerzio).

Molino ha voluto andare oltre: quelle punte che non fanno bene al Barolo sono invece acini dalle caratteristiche perfette per produrre spumante. Ed ecco nascere questo esperimento, che ha coinvolto al momento sei produttori (anche un valdostano e un novarese nel progetto). Dal 2010 ad ogni inizio di settembre vendemmiano le punte dei grappoli di nebbiolo producendo circa 2.000 bottiglie con una pressatura soffice per ottenere un vino bianco ricco di struttura che prima resta un anno in botte di legno e poi viene rifermentato in bottiglia per oltre 40 mesi. Ecco perché la prima edizione in commercio è quella del 2015.

A produrre il Na Punta è Franco Conterno, di Cascina Sciulun, azienda con terreni nel cuore del Barolo, fra cui anche il Cru di Bussia, da cui nasce il suo Barolo di punta.

Un vino come il Nebbione non poteva che generare entusiasmo e curiosità, sviando forse l’attenzione dal tema principale della serata, sul quale siamo tornati a bomba con la terza tappa.

Nel bicchiere un vino bianco dai sentori quasi sulfurei, una sapidità marcata: certo non è il bianco della vita, ma si presenta armonico e con una piacevole beva.

Scatta la caccia al terroir particolare e qualcuno azzarda l’idea del vulcano, pensando però a un bianco dell’Etna.


IMG_9227Sarà anche suggestione – come sostengono molti esperti in fatto di mineralità del vino – ma il vulcano effettivamente nel bicchiere c’è, anche se non è l’Etna, ma il Vesuvio.

Stavolta sì che abbiamo davanti uno di quegli autoctoni che a Viva il Vino piacciono tanto, perché il Katà delle Cantine Olivella nasce da uva catalanesca, che non solo nessuno dei presenti ha mai assaggiato, ma di cui probabilmente nemmeno ne conosceva l’esistenza prima della serata.

Fino al 2006 era solo un’uva da tavola coltivata sulle pendici del Monte Somma, a 500 metri d’altezza circa, poi i tre soci di questa piccola realtà vesuviana sono riusciti a farla inserire fra i vitigni autorizzati ed ecco che ora è entrata con merito fra le chicche degli autoctoni più rari.

Con la quarta tappa si fa notte a chiacchierarne: già l’analisi visiva, con un vino non limpido, dal colore esageratamente dorato, induce curiosità, ma poi i sentori così unici e quella “spremuta di bucce” – come qualcuno afferma degustando – non possono che accendere la discussione. Sarà per via di quel terroir così ricco di terra rossa che si vede nelle immagini, di quel clima fatto di mare distante pochi chilometri e di fredda Bora che soffia costante o sarà invece perché la mano di chi produce questo vino non segue canoni tradizionali?

IMG_9225Fatto sta che la Vitovska di Zidarich, vitigno autoctono tipico solo del Carso nella zona di confine fra Italia e Slovenia, tutto può essere, tranne che un vino convenzionale: non per nulla un’ora più tardi verrà anche proclamato vino emozione della serata (di un soffio sul Nebbione).

Vinificato con una lunghissima macerazione dentro tini di legno aperti, senza alcun controllo della temperatura e poi affinato per due anni in botti di legno grande.

Zidarich è uno di quelli che entrano di diritto nel novero degli artisti del vino: come davanti a una tela che non è il solito paesaggio, si sta in contemplazione, si cerca di capire cosa vuole esprimere l’autore, ci si confronta. Il quadro può piacere o non piacere, ma tutti sono consapevoli che aldilà del gusto soggettivo l’arte è espressione del pensiero. E così è per questa Vitovska, da cui ci congediamo con dispiacere per accelerare e non fare l’alba: è il momento di affrontare i vini rossi.

La quinta tappa ci porta fra i monti, vigneti fra i 700 e i 900 metri d’altezza, paesaggi meravigliosi a guardare le immagini che scorrono sugli schermi.

Ma chi avrebbe pensato di essere così a sud? Aldilà delle immagini, nemmeno le caratteristiche del vino nel bicchiere lasciano pensare alla Sicilia.

Invece il PerricOne di Castellucci Miano arriva da Valledolmo ai piedi delle Madonie.

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Vitigno autoctono che a fine ‘800 era fra i più diffusi nel trapanese per via del Marsala Ruby, venne abbandonato a seguito della crisi del Marsala e ripreso solo negli ultimi anni, anche se spesso vinificato insieme al nero d’Avola.

Non è così per questa cantina con 80 piccoli soci conferitori, che proprio sul recupero dei vitigni autoctoni ha costruito la loro identità. L’avevamo già apprezzata tempo fa con lo Shiarà, il catarratto bianco.

Questo perricone invece è un piacevole vino rosso, dai sentori vagamente speziati, reso ancor più godibile al palato dall’affinamento in piccole botti di rovere per dieci mesi.

IMG_9237Dalla Sicilia si risale per una sosta in Abruzzo a degustare il Castellum Vetus, da uva montepulciano: non è un fuori programma, perché il montepulciano rientra di diritto fra i vitigni autoctoni, però è sicuramente una tipologia nota ad appassionati e bevitori.

Ce lo ha voluto inviare in degustazione Centorame, azienda da poco entrata nella selezione di Un Bicchiere d’Italia a rappresentare l’Abruzzo con il Trebbiano e il Montepulciano e che ci ha voluto presentare anche il suo prodotto top, questo corposo rosso ottenuto da piante di circa 30 anni, con una vendemmia tardiva, a cui poi si aggiunge anche una lunga macerazione durante la vinificazione e 15 mesi di affinamento in barrique di rovere.

Caratteristiche che ad inizio degustazione sembrano quasi penalizzarlo, con sentori particolarmente chiusi e poco gradevoli che poi col passare dei minuti lasciano posto alle consuete caratteristiche dei grandi vini di struttura.

La settima e conclusiva tappa è una attesa chiusura in dolce, ad accompagnare la crostata di marmellata che Vale ha voluto far trovare in platea malgrado fosse impegnata a fare la neo-mamma.

Si tratta di un Albana di Romagna, vitigno autoctono coltivato fin dai tempi remoti nell’entroterra romagnolo, in particolare intorno a Bertinoro (FC) che ne costituisce un po’ l’enclave. Il Solara nasce da uve vendemmiate a inizio ottobre e lasciate appassire per 40 giorni in solaio. Dopo la pigiatura a metà novembre e la vinificazione in acciaio, rimane ancora per 8 mesi ad affinare in barrique.

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Vino capace di conservare molta freschezza a mitigare le note dolci così da non essere mai stucchevole, vino molto apprezzato anche per l’ottimo rapporto qualità/prezzo.

E’ il gioiello di famiglia dei Celli, azienda che ben interpreta il territorio con diverse tipologie di sangiovese e della stessa albana, vinificata anche in versione secca, spumante e vendemmia tardiva.

Non è tardissimo, ma la mezzanotte è comunque passata, nella piacevolezza di scoperte e conferme arrivate dall’Italia degli autoctoni

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