Rassegna dell’Artigianato 2013: 4 vini per presentarci

Perché non venite a presentare la vostra associazione alla Rassegna dell’Artigianato del Pinerolese negli incontri che organizziamo presso il nostro stand?

Detto, fatto. Abbiamo accolto con piacere la proposta che Ezio Giaj, Direttore del Museo del Gusto di Frossasco, ci ha lanciato in occasione della principale manifestazione dell’anno a Pinerolo.

Dopo di che ci siamo chiesti: come possiamo trasmettere a un pubblico di passaggio la filosofia delle nostre serate all’insegna del bere giusto e alla portata di tutti, quella voglia di scoperta di territori estremamente sfaccettati e di piccole produzioni di estrema qualità dietro alle quali si celano emozionanti storie di uomini e donne che hanno saputo trovare la chiave per interagire con la natura?

Semplicemente raccontandola attraverso la scelta simbolica di quattro vini ispirati a tale filosofia, così da lasciare qualche emozione anche nel corso di una degustazione collettiva vissuta in piedi, in mezzo alla piazza, anziché nel nostro contesto abituale del Museo del Gusto.

E allora, servendo con l’ausilio di Carolina e Sabina i vini alla cieca per non dare al pubblico – confluito in realtà molto più numeroso e attento di quanto potessimo aspettarci – alcun elemento di pregiudizio, siamo partiti con un bianco proveniente da una zona che nell’immaginario collettivo non è certo sinonimo di grandi vini: Soave.

Dove però oltre agli ettolitri contenuti nei grandi silos di acciaio che sembrano cementifici lungo l’autostrada Verona-Vicenza, da cui escono buona parte dei 60 milioni di bottiglie qui prodotte, si produce anche tanta qualità, fatta da piccole e medie aziende che da queste colline di origini vulcaniche e calcaree sanno tirare fuori alcuni dei vini bianchi più complessi e strutturati del nostro Paese, da uve autoctone tipiche della zona: in primis la garganega e poi anche il trebbiano di Soave, presente talvolta in quota minima per conferire ulteriore aromaticità.

Fra le tante storie che potevamo presentare, abbiamo scelto quella di Umberto Portinari, medico mancato (per fortuna nostra) che ha invece trovato la sua strada nella piccola azienda creata nel cuore del Soave, a Monteforte d’Alpone, dove ha saputo dare vita a vini ricchi di mineralità e struttura, che esaltano appieno le caratteristiche della garganega sia nel suo vino più semplice, il Ronchetto, sia nel più complesso, il Santo Stefano, che potremmo definire un vero e proprio Grand Cru vinificato e maturato in barrique, sui lieviti per 18 mesi.

Noi però abbiamo fatto degustare l’Albare, il più varietale per via della lavorazione esclusivamente in acciaio, per poter raccontare la storia della Doppia Maturazione Ragionata, che Portinari ha sperimentato e applicato con straordinari risultati sulle piante con cui produce questo vino, collocate in pianura anziché in collina. Di cosa si tratta? Per farla breve, prima della maturazione su alcuni tralci viene effettuato un taglio netto, con la conseguenza che una parte dei grappoli, che non sono più raggiunti dalla linfa, inizia ad appassire mentre è ancora sulla pianta, mentre quelli che sono prima del taglio maturano ovviamente più arricchiti. E l’Albare nasce quindi proprio così, dall’unione di queste uve.

Che ci danno un vino dai profumi complessi, dalla pesca, al cedro, alle erbe aromatiche, alle note minerali per un sorso ricco di freschezza e sapidità, ma contestualmente avvolgente e morbido.

Se poi aggiungiamo che in questa azienda tutti i vini hanno un rapporto qualità/prezzo straordinario (meno di 10 euro per il Ronchetto, poco di più per l’Albare, 15 € per il Santo Stefano) ecco perché questa storia è perfetta per raccontare la filosofia di Viva il Vino.

Secondo atto, dalla pianura veneta passiamo a un’altra zona associata nell’immaginario collettivo al vinello: la Romagna del Sangiovese, dove nascono i principali vini in cartone celebrati dagli spot televisivi.

E noi allora vogliamo raccontare come anche in terra di Tavernello, su quelle colline non troppo distanti dal mare, ma altrettanto vicine all’Appennino, il Sangiovese può trovare il territorio per esprimersi al meglio, quando coltivato e vinificato secondo metodi qualitativi, come ci dimostra Stefano Berti, azienda nei pressi di Predappio, nel forlivese, uno dei produttori più rappresentativi.

Stefano Berti per Viva il Vino non è una sorpresa, avendo già avuto modo di apprezzare il suo rosso di punta, il Calisto Riserva, durante il recente appuntamento intitolato Emozioni di una notte di mezza estate.

Ma qui in piazza eccoci invece con il Sangiovese Superiore Bartimeo, che vorrebbe essere il suo vino quotidiano, vinificato esclusivamente in acciaio, profumi fruttati di ciliegia e ribes, piacevoli sentori di violetta, per poi passare a una piacevole beva fatta di freschezza e di un sottile tannino, con molti richiami fruttati. Chianti, urla qualcuno dal pubblico e complimento migliore non poteva arrivare per Berti, dal momento che è proprio in Toscana che il Sangiovese trova la sua massima espressione e ben sappiamo che il Chianti con uve sangiovese è prodotto.

Vino da 6,50€ a bottiglia, nuovamente ottimo il rapporto qualità/prezzo.

Terzo vino versato al pubblico e terza sorpresa, perché se è vero che tutti si aspettano a questo punto un vino di casa, ecco che per parlare di Piemonte anziché in Langa, Roero o Monferrato, siamo andati nel Novarese, zona certamente amata dagli appassionati ma invece semisconosciuta ai più. Eppure qui la tradizione enologica legata al Nebbiolo è antichissima, come ama raccontare ad ogni occasione Alberto Arlunno, uno dei titolari di Antichi Vigneti di Cantalupo, l’azienda che abbiamo scelto per la nostra degustazione.  Siamo a Ghemme, dove Arlunno ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo e alla diffusione dei vini di questo territorio. E se i suoi vini top di gamma come il Collis Breclemae possono ambire a reggere la sfida anche con i più affermati barolo di Langa (vedi la nostra serata nebbiolo), anche il resto della gamma è all’insegna della qualità.

Come per esempio il Villa Horta che abbiamo voluto portare in piazza, in quanto prodotto con la vespolina, vitigno autoctono molto diffuso in quest’area e quasi sconosciuto altrove. Vino lavorato solo in acciaio, piacevolmente profumato di frutta rossa, ma anche con qualche accenno minerale, è al sorso che si rivela estremamente morbido e armonico, malgrado una bella freschezza. Il classico vino beverino la cui prima frase che viene in mente quando lo assaggi è: buono!

Se poi aggiungiamo che una bottiglia costa mediamente 7 euro, allora avercene un po’ di scatole in cantina come vino da bere tutti i giorni.

E per chiudere questa mini-degustazione di piazza, dopo il Piemonte, non può che esserci la Toscana. Ma abbiamo scelto quella che non ti aspetti e quindi niente Chianti, niente Sangiovese, niente Brunello, bensì un vino frutto dell’uva rossa forse più seducente al mondo, quella che meno di tutte ricondurreste a questa regione: il Pinot Noir.

Perché se è vero che il vino è una sfida continua, bisogna dare atto che l’avventura del Podere Fortuna è parecchio ardita, coltivare pinot noir in terra di sangiovese, anche se in realtà nel Mugello Alessandro Brogi e il suo staff sono stati bravi a trovare una piccola oasi in cui il microclima è più simile alla Borgogna che non alla più calda Toscana.

Altra azienda dalla produzione limitata, che ha davvero sorpreso critica ed appassionati con i suoi Pinot Noir fra i migliori prodotti nel nostro Paese, con rese così basse in vigna da essere persino antieconomiche. I nostri soci ancora ricordano il Fortuni nella mitica serata dedicata al pinot, mentre in piazza abbiamo proposto l’Ardito del Mugello frutto di un assemblaggio tra Pinot Nero e Merlot con piccole percentuali di Sangiovese e Malvasia Nera. Vino che matura sia in barriques che in tini di cemento, ci regala un naso denso di frutta fresca come solo i merlot riescono a dare, ma con sfumature anche più selvagge ereditate per l’appunto dal pinot. E poi sicuramente morbido, ma anche fresco, con un tannino marcato e un gusto persistente, un vino da godere, venduto mediamente a 12€ e che strappa l’applauso della piazza per un finale in bellezza.

E speriamo con queste quattro storie così diverse e così uguali di aver lasciato ai presenti non solo la bocca buona, ma anche una concreta testimonianza di cosa vuol dire bere bene al prezzo giusto

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