5 SFUMATURE DI BRUNELLO

Brunello significa Montalcino, dal momento che il disciplinare di questa docg (ritenuta la più prestigiosa d’Italia insieme al Barolo) dispone che si può produrre esclusivamente entro i confini areali del comune.

Quello che invece i più non immaginano è che esistono ben più di 50 sfumature di Brunello: nei 240 kmq della superficie del paese, le differenze tra i terreni e i microclimi delle varie zone portano ad avere nel bicchiere caratteristiche molto diverse.

L’obiettivo della serata Brrr…unello era proprio questo: dimostrare come vini prodotti con le stesse uve nella stessa annata provenienti da vigneti distanti fra loro pochi chilometri possano avere realmente differenze gustative enormi e non siano invece “seghe mentali dei soliti appassionati troppo tecnici”.

Lo abbiamo fatto selezionando cinque fra i migliori piccoli vignaioli, dalla più fredda zona Nord della frazione di Torrenieri fino al Sud delle frazioni di Sant’Angelo in Colle e Castelnuovo dell’Abate che risentono invece delle calde correnti maremmane: la fortuna è stata dalla nostra parte perché il 2010, l’annata attualmente disponibile è stata considerata dagli esperti una delle migliori del decennio, subito dopo il 2006.

E siccome sarà presentata ufficialmente a Montalcino nei prossimi giorni con la manifestazione “Benvenuto Brunello”, Viva il Vino ha portato in Piemonte una piccola anticipazione di grande prestigio: fortunato chi ci segue e partecipa alle nostre serate.

Per scaldare l’atmosfera, tutti e cinque i campioni finiscono in parallelo nei bicchieri, mentre il nostro relatore fa un approfondito excursus sul mondo del Brunello, dalle origini ai giorni nostri, mettendo in evidenza luci e ombre, numeri di successo e scandali che hanno caratterizzato oltre un secolo della comunità ilcinese.

Vengono sviscerate anche le caratteristiche più significative del Sangiovese Grosso, il vitigno da cui nasce il Brunello, per poi passare alla parte forse più interessante: l’analisi dei diversi territori distanti pochi chilometri l’uno dall’altro, eppure caratterizzati da microclimi e terroirs così differenti.

Seguendo la suddivisione fatta qualche anno fa per Decanter da Kerin O’Keefe, attuale Editor di Wine Enthusiast per l’Italia, ecco sugli schermi la cartina dei produttori del Consorzio suddivisa in cinque aree: Nord Ovest e Torrenieri, Montalcino, Tavernelle e Camigliano (zona Ovest), zona Est e infine Sant’Angelo in Colle e Castelnuovo dell’Abate (zona Sud).

Grandi differenze che successivamente dovranno trovare riscontro o meno nei vini in degustazione.

E dopo aver scoperto tutto quello che c’era da sapere sul mondo del Brunello, prima di iniziare la degustazione approfondita di ogni singolo campione, il pubblico vota il “vino emozione” in base alle sensazioni personali che ogni bicchiere suscita: trattandosi di rossi da grande invecchiamento nulla di più facile che a venir penalizzati possano essere proprio i vini meno pronti che esprimeranno il meglio di sé solo fra molti anni, così come col passare dei minuti mutano notevolmente anche le caratteristiche stesse del singolo vino nel bicchiere. Ma è un gioco senza alcuna velleità di giudizio e quindi ci può stare!

E veniamo ora alle diverse sfumature di Brunello.

Bicchiere numero 1, il più rubino e il più carico di colore tra tutti, tanto da sembrare il “meno Brunello” fra i presenti. In realtà è quello più pronto, profumi vinosi e molto fruttati, al gusto già perfetto nell’equilibrio nonostante sia ancora giovanissimo. Lo produce Sasso di Sole, piccola realtà in Frazione Torrenieri (zona Nord), 30.000 bottiglie in tutto. Una zona dove la tramontana abbassa di diversi gradi la temperatura rispetto alle altre aree di Montalcino, una zona dove non sono rare le nebbie e il terreno è più fertile che altrove. E le conseguenze le ritroviamo tutte nel bicchiere.

Un’antica tradizione agricola per la famiglia Terzuoli, radici che hanno portato il figlio Roberto prima verso studi agrari e poi ad affinare le proprie conoscenze lavorando presso noti produttori ilcinesi fino al momento si spiccare il volo con la propria azienda e il proprio vino. Il suo Brunello fermenta in inox, a cui fa seguito un affinamento per tre anni in grandi botti di rovere fabbricate dall’azienda Garbellotto, anche questo un modo per valorizzare il prodotto Italia e ricalcare la tradizione di Montalcino. Un Brunello di quelli più facili e piacioni e non ci stupisce quindi che i riconoscimenti maggiori li abbia dalla critica straniera, essendo a pensarci bene forse il più vicino a quel gusto vellutato e morbido apprezzato dagli Americani.

Ed ecco il bicchiere numero 2, caratterizzato da note eteree e da una marcata acidità. Molto fine ed elegante al naso, si presenta con un tannino non aggressivo e lascia una piacevolezza di beva. E’ il Brunello dell’Azienda Agricola Pietroso, acquistata negli anni ’70 da Domenico Berni quando andò in pensione e oggi guidata dal nipote Gianni Pignattai che produce Brunello secondo le regole del classicismo più rigoroso, sfruttando la ricchezza delle sue uve che provengono da tre vigneti diversi: uno praticamente in paese a ridosso delle mura storiche, a 500 mt di altezza; uno nella zona collinare dei Canalicchi a 450 mt con esposizione est; il terzo nella zona a sud, poco sopra la meravigliosa Abbazia di Sant’Antimo, a 400 mt di altitudine.

Anche in questo caso la scelta è caduta su una realtà di piccoli vignaioli, vista la produzione complessiva di sole 35.000 bottiglie.

In cantina viene eseguita la vinificazione separata delle uve provenienti dai diversi vigneti, che vengono assemblate solo dopo aver trascorso i primi sei mesi in botte grande, a cui fa poi seguito una ulteriore maturazione di tre anni. Un Brunello scelto a esempio di uno stile tutt’altro che raro: a Montalcino sono molti i produttori che hanno più vigneti in diverse zone e che danno vita quindi a dei vini che sono la risultanza dei diversi terroirs e che per questo se da un lato possono avere più carte da giocarsi in annate con caratteristiche climatiche particolari, dall’altro sono meno identificativi di una specifica zona.

Nel bicchiere numero 3  è evidente un’acidità più marcata rispetto ai precedenti, invece la finezza e

l’eleganza lo rendono simile al campione numero 2. E’ molto complesso, sicuramente il meno pronto e quindi la platea si incuriosisce nell’immaginare come potrà evolvere tra qualche anno. Una leggera nota amarognola sul finale per il Brunello di uno dei grandi interpreti della zona intorno al capoluogo: è l’area più alta di Montalcino, quella col terreno più ricco di calcare e molto meno fertile delle altre aree, che contribuisce in maniera determinante alla creazione di vini eleganti, complessi e longevi. Non per nulla è proprio intorno a Montalcino che si trovano molti dei grandi nomi che hanno dato fama mondiale a questo vino.

In questo caso ci troviamo poco a sud ovest dal centro del Paese, fra i vigneti dell’Azienda Agricola Mocali: vini intensi e profondi, che piacciono subito, ma che continueranno a dare grandi soddisfazioni nel tempo. Acquistata negli anni Cinquanta da Dino Ciacci, uno dei fondatori del Consorzio del Brunello, oggi è il nipote Tiziano Ciacci a portare avanti la cantina coniugando moderne tecnologie e saperi antichi. Vigneti ad un’altitudine di 350/400 mt, integrati tra boschi e uliveti che rappresentano l’altra importante attività produttiva dell’azienda. Una vinificazione tradizionale in grandi botti, per il primo anno in rovere di Slavonia, poi in rovere francese, anche qui si rispetta il vecchio disciplinare e non si concede nulla alla frenesia del mercato che non vorrebbe aspettare.

Malgrado Mocali abbia una dimensione leggermente più grande delle aziende precedenti, con le sue 150.000 bottiglie circa, è sempre una realtà di natura familiare.

I minuti trascorsi hanno fatto molto bene al vino del bicchiere numero 4: è quello che è migliorato di più. E’ l’antitesi del Brunello costruito, sprigiona esuberanza nei profumi, ma ancora più al gusto dando spazio al terroir e all’annata con la sua mineralità e con la

ruspante tannicità poco incline alla piacioneria di certi altri Brunello.  Peraltro se degustato da solo lascia qualche dubbio, è invece perfetto nell’abbinamento con gli elicoidali di Gragnano conditi con un ragù di cinghiale. Siamo nel versante occidentale di Montalcino, quello di Tavernelle e Camigliano, anche se questo Brunello arriva da Santa Restituta, dove i fiumi Ombrone e Orcia si incontrano e dove si trova l’omonima Abbazia.

Le brezze marine del maestrale portano anche salmastro in questa zona più bassa e più pianeggiante rispetto alle altre e caratterizzata da un terreno argilloso e sassoso.

Ofelio Fattoi ha comprato il podere negli anni ‘ 70 intuendo che con quel tipo di esposizione solare e ventilazione, i terreni lì intorno avrebbero prodotto grandi vini. Non per nulla anche Gaja ha proprio qui la sua azienda di Montalcino, non per nulla a poca distanza c’è anche la mitica Case Basse di Soldera.

Oggi sono i figli di Ofelio a portare avanti l’attività come interpreti del classicismo più puro, con fermentazione da lieviti autoctoni, lunghe maturazioni in grandi botti e vini rispettosi di un vitigno e di uno specifico territorio. Cinquantamila bottiglie in tutto, nove ettari vitati più un magnifico uliveto e boschi.

Oramai vicini alla mezzanotte, ecco il bicchiere numero 5, l’ultimo vino in programma. Prevalgono deliziosi sentori di piccoli frutti in confettura rispetto alle sensazioni più eteree di alcuni assaggi precedenti, è facile pensare (anche per esclusione!) che potrebbe essere conseguenza di una esposizione dei vigneti ubicati in una zona più calda. Un Brunello sicuramente intenso e complesso, con un calore e una morbidezza che lo distinguono dagli altri.

Lo spezzatino cucinato con una riduzione di Sangiovese è un ottimo compagno del

Brunello di Tenuta di Sesta, già protagonista nella sfida Italia-Francia del 2013 e scelto come testimonial della zona a sud, quella più calda, collocata in una conca naturale protetta dai venti e dove la temperatura è più elevata, il ciclo vegetativo è anticipato e i terreni sono più duri per via delle scarse piogge.

Insomma, vigne più rustiche che danno vita a vini più robusti, caratterizzati da una notevole nota alcolica.

E qui da sempre la famiglia Ciacci produce Brunello, nella meravigliosa tenuta collocata proprio a metà strada fra l’area di Castelnuovo dell’Abate e quella di Sant’Angelo in Colle, una delle aree dove nascono alcuni dei più famosi Brunello.

Anche in questo caso le tecniche di vinificazione rispettano la tradizione con l’obiettivo di produrre vini dotati di buona acidità, affinchè possano durare e crescere nel tempo, visto che la componente morbida e calda sicuramente non manca. Concedendo a Giovanni Ciacci, che guida l’azienda con i figli Francesca e Andrea, una vita di grandi soddisfazioni.

Come quelle che si leggevano sui volti tra i presenti, non solo per aver degustato cinque vini di livello eccelso, ma anche per aver compreso in maniera approfondita quello che fino a due ore prima per molti era uno scenario piuttosto vago: quante sorprese hanno invece dato le diverse zone di Montalcino.

A chiusura della serata ecco lo spoglio della votazione del “vino emozione”, effettuata un paio d’ore prima: è il Brunello di Mocali quello che ha emozionato di più, prevalendo di un’inezia su quello di Pietroso, entrambi situati nell’area identificata come quella nei dintorni del capoluogo.

La soddisfazione maggiore per la nostra selezione arriva però dal fatto che tutti e cinque i Brunello sono stati “vino emozione” per qualcuno dei presenti, segno evidente che “de gustibus disputandum non est”

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